Ormai inadeguata la normativa che tutela la fauna selvatica in Italia. Protegge solo l’1,1% di tutte le specie animali presenti nel nostro territorio. Allarmante la piaga del bracconaggio che viaggia a una media di 250 illeciti al mese.
Trent’anni fa veniva approvata la legge n. 157/1992 che tutela fauna selvatica omeoterma (mammiferi e uccelli) e disciplina l’attività venatoria. Con il nuovo report La tutela della fauna selvatica e il bracconaggio in Italia, Legambiente analizza i limiti di una normativa che risulta ormai “datata” e non più rispondente alle urgenze connesse con la crisi della biodiversità.
Limiti e criticità della legge
La normativa tutela solo l’ 1,1% di tutte le specie animali presenti stabilmente o temporaneamente nel nostro territorio. Ossia solo 653 specie e sottospecie (comprese le specie di mammiferi e uccelli marini) protette su un totale di 57.460 specie e sottospecie di animali selvatici noti per l’Italia. Inoltre non regolamenta le tante attività umane come agricoltura, forestazione e viabilità che hanno quotidiana relazione con la fauna selvatica omeoterma.
Altro vistoso aspetto che mostra i “limiti di età” di una legge nata nel secolo scorso è che, a dispetto delle crescenti minacce alla biodiversità, la legge delega la responsabilità della gestione attiva della fauna selvatica omeoterma alla caccia privata in oltre 4 milioni di ettari e, sostanzialmente, sempre ai cacciatori in altri 19 milioni di ettari destinati a caccia programmata, lasciando poco più di 3 milioni di ettari per la tutela della fauna gestiti da Enti pubblici. Uno squilibrio con gli interessi generali del Paese.
Attività venatoria in Italia
Il numero complessivo di specie di mammiferi e uccelli cacciabili in Italia corrisponde oggi a ben 48 specie, molto sopra la media europea che si ferma a 27 specie cacciabili.
Bracconaggio
L’attività dei bracconieri si concentra, soprattutto, su piccoli passeriformi, ungulati, anatidi, richiami vivi e caccia senza attenzione alle regole. Prendendo in considerazione solo i piccoli passeriformi, dai turdidi ai fringillidi, dalle beccacce alle allodole, dal Trentino fino alla Sicilia, vengono catturati piccoli nei nidi o adulti con reti, trappole e ogni altro mezzo, per poi essere venduti vivi, come richiami ai cacciatori italiani che ancor oggi ne possono far uso, o morti, per i ristoratori che offrono, ben pagati, piatti a base di uccellini. Ogni anno, le stime più attendibili indicano da uno a due milioni di animali che finiscono in questo circuito, per un giro di affari che oscilla tra i 50 e i 70 milioni di euro.