Negli ultimi sei mesi recuperate 4,8 tonnellate di rifiuti dai fondali marini nei progetti sperimentali del ‘fishing for litter made in Italy’ realizzati nell’Arcipelago Toscano, a Porto Garibaldi (Fe), Manfredonia (Fg) e Terracina (Lt) grazie al coinvolgimento dei pescatori.
La maggior parte dei rifiuti è rappresentata da plastica e in particolare da oggetti monouso. Ora l’Italia giochi un ruolo da protagonista nella lotta al marine litter approvando subito una legge nazionale sulle plastiche monouso e per consentire ai pescatori di fare gli spazzini del mare.
Nell’Arcipelago toscano da maggio a settembre 2018 sono state 1,8 le tonnellate di rifiuti raccolte dai fondali marini. Altre 1,6 tonnellate sono state recuperate a Terracina (Lt) nel Lazio, in due mesi di attività. Passando dal Tirreno all’Adriatico, anche a Manfredonia, in Puglia, va in scena questa particolare attività di pesca a strascico: oltre a catturare pesci, i pescatori tirano infatti su dalle reti rifiuti di ogni tipo, dalle reti per la coltivazione delle cozze a bottiglie di plastica, addirittura pneumatici. In una sola giornata sono state oltre 390 i chili di rifiuti riportati a terra. E, ancora, a Porto Garibaldi (Fe), in Emilia-Romagna, ad oggi si contano già 23 giornate di questo tipo che hanno portato al recupero di oltre una tonnellata di rifiuti.
Scene, quelle dei rifiuti finiti accidentalmente nelle reti, che i pescatori vivono ogni giorno, ma che grazie a progetti sperimentali di fishing for litter possono finalmente portarli a terra senza conseguenze (multe o costi aggiuntivi) e contribuire al loro corretto smaltimento. Progetti che Legambiente ha realizzato, o contribuito a realizzare, e che in pochi mesi hanno consentito di rimuovere circa 4,8 tonnellate di rifiuti dai fondali, di cui la maggior parte plastica. Le quantità maggiori sono state prelevate dai fondali dell’alto Tirreno con il progetto Arcipelago Pulito coordinato dalla Regione Toscana e realizzato con il contributo di Unicoop Firenze. A dimostrazione che quello che vediamo galleggiare sulla superficie del mare e arenarsi sulle spiagge è, purtroppo, solo la punta dell’iceberg di un problema ben più complesso che giace soprattutto sui fondali marini. Secondo le stime, sono 8 milioni, infatti, le tonnellate di rifiuti che ogni anno finiscono nei mari e negli oceani del mondo. Parliamo di un camion al minuto, e di questi, almeno il 70% affonda. Il fishing for litter è la principale attività che consentirebbe di rimuovere questi rifiuti, come attività parallela a quella della pesca.
Esperienze, dati e proposte di cui si è discusso oggi a Rimini a Ecomondo – la ventiduesima fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile – nel corso del convegno “Plastica monouso e rifiuti marini nel Mar mediterraneo: problemi e soluzioni”, a cura di Legambiente, Comitato Tecnico Scientifico di Ecomondo, Enea, IPPR, Corepla, Assobioplastiche, in collaborazione con Beyond Plastic Med, Pelagos Plastic Free, Clean Sea Life e Interreg Mediterranean Medsealitter.
«Il settore della pesca è il più minacciato dal problema del marine litter, ma anche quello che può ricoprire un ruolo da protagonista nella pulizia del nostro mare, proprio come dimostrano le attività di ‘fishing for litter’ che stiamo contribuendo a moltiplicare lungo le coste italiane – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente –. Una misura quanto mai necessaria prevista dalla direttiva europea Marine Strategy ma che in Italia è ostacolata dalle normative vigenti: oggi, infatti, fatta eccezione per questi progetti pilota, questa pratica è vietata e i pescatori sono purtroppo costretti a ributtare in mare i rifiuti pescati. E’ urgente l’approvazione di una legge che consenta finalmente a queste attività di potersi svolgere regolarmente. L’Italia inoltre deve anticipare i tempi della direttiva europea sulla plastica monouso approvando subito una legge nazionale, ribadendo però, a differenza di quanto contenuto oggi nelle bozze in circolazione, il ruolo importante delle bioplastiche, un tema da sottolineare anche nella discussione europea. Il nostro Paese deve mantenere la sua indiscussa leadership normativa, essendo stato il primo a mettere al bando, oltre gli shopper di plastica, anche i cotton fioc e le microplastiche nei cosmetici, misure copiate dall’Europa nella proposta di direttiva».
Sia nell’esperienza di Manfredonia (iniziativa svolta nell’ambito del progetto Clean Sea Life, cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma LIFE) che nelle altre che Legambiente sta portando avanti in Italia è stato possibile osservare come la maggioranza dei rifiuti siano in plastica. Rifiuti che non solo danneggiano la biodiversità ma che se, non raccolti, sono una pericolosa fonte di microplastiche, fenomeno ancora più insidioso, invisibile e incalcolabile anche per la contaminazione della catena alimentare. Di questi rifiuti in plastica la gran parte è rappresentata dal cosiddetto “usa e getta”: oggetti che utilizziamo per pochi minuti, ma se non smaltiti correttamente inquinano l’ambiente per decine o centinaia di anni.
A Manfredonia, ad esempio, quasi 34 chili di rifiuti erano riconducibili ad oggetti usa e getta: imballaggi alimentari, retine per confezionamento di frutti di mare, bottiglie di plastica, buste, contenitori cibo di plastica e latta e piatti, bicchieri, forchette. In pratica l’usa e getta in plastica costituisce il 64% rispetto alle altre tipologie di oggetto rinvenute (escludendo le reti da mitilicoltura che rappresentano la maggior parte dei rifiuti pescati). Stessa situazione a Porto Garibaldi dove la percentuale dell’usa e getta, utilizzando la stessa metodologia, è pari al 53% dei rifiuti pescati.
Il notevole impatto della plastica e dell’usa e getta è testimoniato anche dai dati elaborati da Legambiente nell’ambito delle attività di monitoraggio dei rifiuti galleggianti in mare e di quelli spiaggiati.
L’indagine Beach litter 2018 di Legambiente, ad esempio, ha consentito di monitorare di censire e recuperare 48.388 rifiuti rinvenuti in 78 spiagge italiane per un’area complessiva di 416.850 mq e una media di 620 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia (lineari) campionata: praticamente 6,2 rifiuti per ogni metro di spiaggia. E di questi rifiuti l’80 per cento è rappresentato da rifiuti in plastica. I rifiuti usa e getta in plastica (o con vita breve), in questo caso, rappresentano il 42% dei rifiuti trovati complessivamente. Parliamo di imballaggi di alimenti, bottiglie, carte dei dolciumi, bastoncini per la pulizia delle orecchie, ma anche oggetti come gli imballaggi degli assorbenti igienici e pannolini o anche cartucce dei fucili.
Dai monitoraggi effettuati durante la campagna 2018 di Goletta Verde e nell’ambito della fase di testing prevista dal progetto Med Sea Litter (finanziato dal programma Interreg Med) e di cui Legambiente è partner è stato possibile censire 670 rifiuti (con dimensione maggiore di 2,5 cm) e una densità media di 96,6 oggetti ogni kmq. Gli oggetti in plastica rappresentano mediamente il 92% degli oggetti osservati, con una percentuale che varia dall’85 al 97% a seconda dell’area di osservazione. In questo caso l’usa e getta ha un’incidenza sul totale del 37%.
Dall’esempio dei comuni Plastic free, sempre più numerosi, e con l’auspicata nuova legge nazionale sul tema del monouso è inoltre fondamentale avviare un tavolo con tutti i portatori d’interesse (produttori, amministrazioni, utilizzatori, associazioni ambientaliste) per accompagnare la transizione e rendere efficace il percorso di deplastificazione e incisive le misure che si prenderanno.
Quello che molti non sanno, poi è che anche la plastica spiaggiata, proveniente dal marine litter o portata dai fiumi, però, può essere avviata a riciclo. Ne sono una concreta dimostrazione due pesci in plastica, uno verde acqua e uno blu, uno in Pet e uno in Pe, prodotti con plastica raccolta sulle spiagge nell’ambito della campagna #AllungaLaVita, realizzata da Ippr, Federazione Gomma Plastica in collaborazione con Legambiente e presentato oggi sempre ad Ecomondo. I rifiuti in plastica raccolti sulla spiaggia romana di Coccia di Morto sono stati prima suddivisi per tipologia di polimero e infine avviati a riciclo. Le frazioni in poliestere e polietilene provenienti dal litorale, uniti ad altri polimeri provenienti dalla raccolta differenziata, sono state utilizzate per realizzare i ciondoli. Una concreta testimonianza dell’importanza di una corretta gestione dei rifiuti e dell’impegno dell’industria italiana per incrementare quantità e qualità del riciclo, in linea con le indicazioni della Plastic Strategy europea, anche attraverso le attività del Tavolo permanente per il Riciclo di Qualità, di cui fanno parte Federazione Gomma plastica, Ippr, Legambiente, Conai, Corepla, Enea e Ispra.