L’accoglienza che fa bene all’Italia

 Accoglienza diffusa per stare tutti meglioÈ questo il senso dell’incontro organizzato questa mattina a Roma da Legambiente in occasione della presentazione del suo dossier L’accoglienza che fa bene all’Italia, alla vigilia del passaggio in aula alla Camera dei deputati del decreto Sicurezza. Una raccolta di storie che coinvolgono 100 comuni e un “viaggio per capire” nell’Italia dell’accoglienza diffusa, quella che funziona meglio.

Il DL 113, infatti, smonta il sistema di accoglienza italiano e produce una massa di irregolari sul territorio, circa 600.000 clandestini al 2020 secondo l’Ispi, che stima che la legge provocherà un aumento di 110.000-120.000 persone irregolari nei prossimi due anni, a rischio di finire nelle maglie della criminalità.

All’appuntamento odierno sono intervenuti, tra gli altri, Vittorio Cogliati Dezza, responsabile migrazioni Legambiente, Edoardo Zanchini, vicepresidente Legambiente, Salvatore Piconese, sindaco di Uggiano (Le), Angelo Moretti, direttore generale Consorzio “Sale della Terra” – Rete Piccoli comuni del Welcome, Claudio Graziano, responsabile immigrazione Arci Roma, Emanuele Selleri, direttore esecutivo Casa Scalabrini 634 – Ascs Onlus, Silvio Aimetti, sindaco di Comerio (Va), Franco Lorenzoni, Casa Laboratorio Cenci – Tavolo Saltamuri, Glauco Iermano, cooperativa Dedalus Napoli, Rossella Muroni, deputata LEU, Paola Nugnes, senatrice M5S, Laura Baldassarre, assessore alla Persona, Scuola e Comunità solidale del Comune di Roma, Andrea Costa, Baobab experience, Graziano Del Rio, deputato PD, Elly Schlein, eurodeputata Possibile, Riccardo Magi, deputato Più Europa, Erasmo Palazzotto, deputato LEU. Il dibattito è stato coordinato dal giornalista di Avvenire Toni Mira.

“Quasi mai si parla di ciò che funziona – dice Vittorio Cogliati Dezza, responsabile migrazioni di Legambiente – di quella accoglienza che mentre risolve un’emergenza, favorisce lo sviluppo e dà beneficio al territorio. E, rispetto alla svolta che il governo intende imprimere riguardo all’accoglienza, la cosa che più colpisce è che, se le prime vittime sono ovviamente i migranti, i principali danneggiati, soprattutto sul piano economico, sono gli italiani. Un bel paradosso per un governo che ha fatto del ‘prima gli italiani’ il suo mantra elettorale”.

“Quello che colpisce del decreto Sicurezza è l’approccio negazionista di fronte al fenomeno delle migrazioni, esattamente come peraltro fa il ministro dell’Interno anche nei confronti dei cambiamenti climatici – aggiunge Edoardo Zanchini, vice presidente di Legambiente -. Infatti, in questo paese non si parla mai delle ragioni di chi emigra, negando l’intreccio perverso di cause concomitanti, come guerra, povertà, disastri ambientali, che oggi rende il fenomeno migratorio diverso da tutte le forme che ha assunto negli anni e nei secoli precedenti, e che finora era stato affrontato utilizzando l’istituto della protezione umanitaria, oggi abolita. Il negazionismo può solo rinviare il momento in cui prendere atto della realtà, e così facendo indebolisce il Paese e gli farà pagare un prezzo salato”.

Lo scenario che disegna il DL 113, convertito in legge dal Senato, significa sostanzialmente rinunciare a ogni politica migratoria, che non sia quella del chiudersi nel fortino e trattare i migranti come pericolosi nemici. E lo fa in quattro mosse: la cancellazione della protezione umanitaria e l’impossibilità di chiedere asilo se si è entrati illegalmente, per ridurre del 70% gli aventi diritto alla protezione; la limitazione dell’accesso agli Sprar ai titolari di protezione, escludendo quindi i richiedenti asilo che sono la stragrande maggioranza dei migranti ospitati dal sistema di accoglienza; il prolungamento dei tempi di permanenza nei Centri di accoglienza e nei Centri per il rimpatrio (fino a 210 giorni) e la costruzione di nuovi grandi centri, anche in deroga al codice degli appalti; l’ampliamento delle ragioni che possono determinare la revoca della protezione internazionale e l’espulsione, con l’individuazione di paesi sicuri, che velocizzerà il diniego della richiesta d’asilo. L’operazione viene rinforzata poi con la recente riduzione della diaria, che varierà tra 26 e 19 euro, nei Cas e nei Centri di prima accoglienza, con l’eliminazione dell’obbligo di istituire corsi di lingua e altri servizi di assistenza, misura che favorisce i grandi centri e le grandi organizzazioni.

L’obiettivo è ridurre al minimo l’accoglienza diffusa e impedire l’integrazione. Invece, bisognerebbe prendere atto che le risorse spese per l’accoglienza diffusa (in particolare con il sistema Sprar) hanno favorito lo sviluppo locale e la coesione sociale e sono un bell’esempio di buona spesa pubblica, forse l’unica politica keynesiana di questo periodo per molte aree del Paese.

L’ONU prevede che per il 2050 ci saranno 469 milioni di migranti, contro i 258 milioni di fine 2017. Parliamo per la grande maggioranza (230 milioni) di migranti economici e ambientali. La Banca mondiale parla di 143 milioni solo di sfollati interni (il primo gradino del lungo viaggio migratorio) al 2050, e l’area più colpita, con 86 milioni di profughi, sarà proprio l’Africa Subsahariana, da dove arrivano la gran parte dei migranti in Italia.  Ma con la nuova legge sulla sicurezza il governo vorrebbe negare l’esistenza stessa del nuovo scenario, da cui piuttosto bisognerebbe partire per non rimanere in balia degli eventi. Negarne l’esistenza è solo autolesionismo, che impedisce all’Italia e all’Europa di adattarsi al mondo che cambia in tempi e modi adeguati.

Dai piccolissimi comuni consorziati nel progetto Agape in provincia di Asti, a quelli del Canavese in provincia di Ivrea o della rete Welcome in provincia di Benevento, da Comerio e Latina a Roccella Jonica e Uggiano, le 28 storie (soprattutto di Sprar ma anche di piccoli Cas) raccolte da Legambiente raccontano un’accoglienza che favorisce lo sviluppo attraverso concreti percorsi di integrazione. Quell’accoglienza diffusa che il DL113 mette fortemente in crisi. Perché fa saltare tutti i tentativi di trovare i percorsi migliori per intrecciare accoglienza con integrazione e sviluppo locale. Inoltre impedisce ogni tentativo di avere nei migranti un alleato in più per affrontare alcune delle principali emergenze nazionali: la crisi demografica, il bilancio dei conti dell’Inps, la crisi delle aree interne, la messa in sicurezza del territorio, il recupero di superfici agricole abbandonate, il decoro urbano. Cancella dall’orizzonte del paese la possibilità di arricchire le comunità locali di nuove culture, di renderle più resilienti.

A pagare saranno per primi i migranti. Ma pagheranno, anche e da subito, le economie locali, perché i costi dei progetti dell’accoglienza diffusa (sistema Sprar e i Cas della microaccoglienza), con un investimento complessivo intorno ai 600-800 milioni all’anno, hanno funzionato da volano sia per riattivare economie locali in crisi, sia per rivitalizzare imprese e servizi sociali. Secondo la Fondazione Moressa i lavoratori stranieri regolarizzati nel 2016 hanno versato 3,3 miliardi di euro di Irpef, 320 milioni per i permessi di soggiorno e le richieste di cittadinanza e 11,9 miliardi per contributi previdenziali. Per un introito totale nella casse dello Stato di 19,2 miliardi, a fronte di una spesa pubblica per gli immigrati pari a 17,5 miliardi, con un bilancio positivo che oscilla tra 1,7 e 3 miliardi di euro. Dati consistenti che, peraltro, rappresentano solo una parte del contributo che le migrazioni danno all’economia italiana. Per un quadro completo bisognerebbe infatti tenere conto anche di altri fenomeni come la spesa pubblica per i richiedenti asilo, per la funzione di volano economico in molti territori, o l’economia illegale dello sfruttamento e del caporalato in agricoltura, in edilizia, nella logistica.

Pagheranno i moltissimi piccoli comuni, che grazie ai progetti di accoglienza diffusa hanno potuto rialzare la testa. Pagheranno le città, dove si riverserà, alla ricerca di qualche risorsa per sopravvivere, gran parte dei clandestini che risulteranno dalla restrizione della possibilità di accogliere domande d’asilo introdotta dalla nuova norma. La contromisura annunciata consisterebbe in un aumento dei rimpatri; secondo una stima di Open Migration sui dati forniti da Frontex, un rimpatrio può costare tra 6.000 e 8.000 euro a migrante. Per rimpatriare 600.000 irregolari servirebbero tra i 3 miliardi e mezzo e i 5 miliardi, ma la legge ne mette in campo 1.500.000 per ognuno dei prossimi due anni.

sindaci si ritroveranno soli di fronte alla presenza di grandi concentrazioni di stranieri regolari e irregolari che creano paure e tensioni nell’impossibilità di un fluido inserimento nella comunità locale. A perdere sarà anche il sistema istituzionale e il ruolo delle autonomie locali nel governo del territorio, dove diventa decisivo il ruolo dei prefetti, con la marginalizzazione degli Sprar a vantaggio dei Cas medio grandi che centralizza tutto il sistema in mano allo Stato ed esautora i sindaci. Un esito paradossale se si pensa che l’autore di queste misure è un ministro della Lega, anticentralista e antistatalista per nascita.

Il filo logico che tiene insieme nel DL 113 tante misure apparentemente disomogenee e afferenti ad ambiti molto diversi, sta nell’intento di trasformare ogni problema sociale in un problema di ordine pubblico, come succede con le pene nei confronti dell’accattonaggio o dei parcheggiatori abusivi, o con gli sgombri di palazzi occupati o con la ripenalizzazione del reato di blocco stradale, con pene fino a 12 anni. Sarebbe, invece, nell’interesse dell’Italia fare una politica che stabilizzi i migranti e ne consolidi l’insediamento sul territorio. Non solo per evidenti ragioni economiche, lavorative, di crescita dei consumi, di bilancio dell’INPS, ma anche per favorire l’identificazione delle nuove famiglie con il paese in cui sono riuscite ad insediarsi.