Migranti ambientali, gli impatti della crisi climatica

Oltre il 40% della popolazione mondiale vive in contesti di estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Entro il 2050 ben 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a lasciare la loro terra per sopravvivere. 

L’aumento della temperatura globale in atto nel nostro Pianeta sta portando a effetti disastrosi, rapidi e diffusi sull’ambiente e sugli esseri umani in tutti gli aspetti della loro vita, alterando gli ecosistemi, incidendo sui mezzi di sussistenza, sulla salute e la sopravvivenza degli individui. Se è vero che nessuno si può ritenereal sicuro da disastri come inondazioni, siccità, ondate di caldo, tempeste estreme e incendi, i dati raccolti da legambiente nel report “Migranti ambientali, gli impatti della crisi climatica“, dimostrano che a pagare il prezzo più alto sono i gruppi sociali più fragili.

Secondo l’IPCC, oltre il 40% della popolazione mondiale (tra i 3,3 e i 3,6 miliardi di persone) vive in contesti di “estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici”, individuando ben 127 rischi che riguardano gli insediamenti, le infrastrutture, l’economia, le strutture sociali e culturali, la sicurezza idrica e alimentare, la salute e il benessere degli individui, gli sfollamenti e le migrazioni.

Tra le macroregioni più a rischio l’Africa occidentale, centrale e orientale, l’Asia meridionale, l’America centrale e meridionale, i piccoli stati insulari in via di sviluppo e l’Artico: in queste aree, tra il 2010 e il 2020 la mortalità umana a causa di eventi estremi come inondazioni, tempeste e siccità è stata 15 volte superiore rispetto alle regioni che presentano una minore vulnerabilità.

Un’umanità forzatamente in cammino

Nel mondo, a fine 2021, sono 89 milioni e 300 mila le persone che sono state costrette ad abbandonare le proprie case in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e altre motivazioni: parla chiaro l’ultimo rapporto statistico annuale dell’UNHCR, “Global Trends”. Un dato estremamente alto, mai registrato prima dall’Agenzia delle Nazioni Unite, che segna un incremento dell’8% rispetto all’anno precedente e che è raddoppiato nell’arco di 10 anni. Non solo. Secondo il rapporto” Groundswell” della World Bank, a causa della crisi climatica, entro il 2050, 216 milioni di persone in sei diverse regioni del mondo potrebbero essere costrette a spostarsi all’interno dei loro paesi.

Un’azione immediata e concertata per ridurre le emissioni globali e sostenere uno sviluppo sostenibile, inclusivo e resiliente – in linea con l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici – potrebbe ridurre la portata della migrazione climatica fino all’80%, riducendo la portata degli sfollamenti a circa 44 milioni di persone.

Ambiente, clima e conflitti territoriali:una relazione pericolosa

Secondo lo studio “Il clima come fattore di rischio per i conflitti armati” pubblicato dalla rivista Nature, dal 3% al 20% dei conflitti avvenuti durante lo scorso secolo ha avuto fra le cause scatenanti fattori legati al clima. È il caso, ad esempio, della guerra civile siriana – con 6 milioni e 700 mila sfollati interni in 10 anni – collegata alla scarsa disponibilità idrica causata da una lunga siccità, un innesco climatico seguito da un intreccio di fattori come tensioni religiose, politiche e sociali che hanno ridotto la popolazione allo stremo. O ancora quello della regione africana del Sahel, dove circa il 70% della popolazione vive di agricoltura e pastorizia e le tensioni già esistenti per questioni di suolo e accesso alle risorse idriche sono esacerbate da lunghi periodi siccitosi e violente piogge e inondazioni.

Migranti, lo scenario globale e italiano

Partendo con uno sguardo globale, degli 89 milioni e 300 mila persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni di diritti umani, registrati da UNCHR a fine 2021, ben l’83% è stato accolto in Paesi a reddito basso o medio, per la maggior parte confinanti quelli di emigrazione (il 72%). Eppure, secondo un’indagine Eurobarometro dedicata all’Integrazione dei migranti nell’UE che ha coinvolto oltre 26 mila cittadini europei, il 68% degli intervistati sopravvaluta il numero di cittadini di Paesi terzi in rapporto alla popolazione del loro Paese. In Italia, oltre la metà degli intervistati ritiene che ci siano più stranieri irregolari che regolari (la media UE è 33%). Percezione smentita dalle stime ufficiali: a gennaio 2021, il numero degli irregolari si attesta a circa 519 mila persone (fonte Ismu), mentre gli stranieri regolari provenienti da Paesi non comunitari ammontano a circa 3 milioni e 700 mila (Istat). Anche il numero dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia per numero di abitante è inferiore a 0,4 ogni mille abitanti; un dato ben al di sotto della media europea che nel 2021 era di 0,93 (fonte Eurostat). A dispetto della dialettica dell’emergenza sbarchi, d’altro canto, quello che si consuma è un vero e proprio dramma umanitario quotidiano: il Mediterraneo, in questo senso, è un enorme cimitero a cielo aperto, con oltre 24 mila persone morte o scomparse dal 2014 a oggi secondo il Missing Migrants Project dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM).

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