Acque sotterranee, il necassario è invisibile agli occhi

L’ultimo report di Legambiente dedicato all’acqua, risorsa indispensabile per la vita: focus sulle acque sotterranee sempre più a rischio a causa delle attività umane. Proposte per una gestione sostenibile e 4 casi simbolo di inquinamento di falde in Italia.

Invisibile ai nostri occhi eppure fondamentale per la vita e gli equilibri sulla terra: parliamo dell’acqua sotterranea, o anche detta acqua di falda, la più grande riserva idrica del pianeta ma anche una delle risorse più dimenticate. La qualità e la quantità di questi importanti corpi idrici è sempre più messa a rischio dall’urbanizzazione, dalla crescita demografica, dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici.

Acque di falda in Italia 

Secondo gli ultimi dati ISPRA (Istituto superiore per la  protezione e la ricerca ambientale), in Italia, nel 2018, sono stati prelevati più di 9,2 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile, di cui in media circa l’85% deriva dalle acque di falda; e alcune Regioni, come Umbria e Valle d’Aosta, ne dipendono totalmente (il 100% delle acque prelevate sono infatti sotterranee). Altre ne dipendono in maniera comunque significativa: 7 Regioni superano il 90% di dipendenza dalle loro acque sotterranee (Lazio, Trentino-Alto Adige, Campania, Lombardia, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia e Veneto) e 5 Regioni ne dipendono per più dell’80% (Piemonte, Calabria, Molise, Marche e Sicilia).

L’acqua di falda dev’essere riconosciuta e protetta

Per raggiungere una gestione condivisa e sostenibile delle acque sotterranee allo scopo di garantire universalmente l’accesso ad acqua pulita e potabile, Legambiente individua 3 azioni prioritarie: il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla Direttiva Quadro Acque (2000/60), che prevedono il conseguimento di un buono stato (qualitativo e quantitativo) dei corpi idrici, la corretta pianificazione degli usi dell’acqua per prevenire il loro deterioramento (qualitativo e quantitativo) e la messa al bando nella produzione e nella commercializzazione di alcune sostanze inquinanti, persistenti e bioaccumulabili, dannose per l’ambiente e la salute.

Quattro storie simbolo di falde inquinate in Italia 

Una significativa parte delle acque sotterranee è interessata, in misura variabile, da inquinamento attribuibile a metalli pesanti, inquinanti organici persistenti, sostanze nutritive e da un’ampissima varietà di sostanze chimiche potenzialmente tossiche. Citiamo a tale proposito 4 vertenze storiche dell’associazione, simbolo di falde inquinate in Italia: la contaminazione da PFAS (sostanze perfluoro alchiliche riconosciute come interferenti endocrini e causa di numerose patologie) nelle acque di diversi territori del Veneto, dove le concentrazioni più elevate di contaminanti sono riferibili al depuratore di Trissino e, in particolare, alla società Miteni che è responsabile della produzione di composti contenenti fluoro principalmente per l’industria conciaria, tessile e farmaceutica; grazie all’impegno di associazioni, cittadini ed attivisti si è finalmente arrivati ad uno storico processo penale, iniziato a luglio 2021 che vede coinvolti quali responsabili civili anche la multinazionale Mitsubishi e il fondo lussemburghese ICIG proprietario del sito Miteni, mentre ancora proseguono le operazioni di messa in sicurezza del sito.

Altro caso di contaminazione da PFAS (in particolare cC604) in provincia di Alessandria, ad opera della società Solvay. Un caso paradossale se si pensa che, nonostante la presenza di questo inquinante sia accertata fino al Po e nella falda esterna dello stabilimento, la società ha chiesto e ottenuto dalla provincia di Alessandria l’estensione dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) per l’uso e la produzione di cC6O4. Attualmente, è perciò autorizzata a produrre 60 tonnellate/anno di cC6O4 e a scaricarne nel fiume Bormida fino a 940 Kg/anno.

E ancora il caso della Val Basento, in Basilicata: in cui sono risultati presenti nel suolo e nelle acque di falda metalli pesanti, IPA, solventi clorurati e composti aromatici, derivanti dagli scarichi degli stabilimenti ANIC/Enichem e Materit.

Infine, quello del profondo acquifero del Gran Sasso, che fornisce acqua a 700.000 abruzzesi nelle province di Teramo, L’Aquila e Pescara: contaminato di sostanze quali cloroformio e diclorometano a causa dei Laboratori nazionali dell’Istituto di Fisica Nucleare e dal traforo dell’A2, e per cui ancora non si sono attuate azioni risolutive, nonostante le pressioni dai vari enti ed associazioni ambientaliste.

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