Sulle biciclette in questi giorni sono apparsi dei fazzoletti bianchi in segno dj lutto, per ricordare la scomparsa del campione Davide Rebellin e quella del giovane Manuel Lorenzo Ntube, che si uniscono alle centinaia di morti in bicicletta in Italia, causate quasi sempre da conducenti di autoveicoli. Eppure spesso è la bicicletta ad essere indicata come pericolo, invece di intervenire sui principali fattori di rischio del traffico venicolare, tra cui la velocità, che quando è moderata, in particolare sotto i 30 km orari, abbatte di oltre l 89% il rischio di mortalità degli impatti. Le strade in Italia sono invece un bollettino di guerra, la prima causa di decesso tra i giovani in Italia che rappresentano infatti la fascia più colpita dai decessi, quella 20-24 anni.
Questo modello di mobilità basato sulla dittatura dell automobile privata è il problema e va cambiato: non solo perchè fa spostare male le persone e rende invivibili le città, ma perchè chiede un tributo quotidiano di morti e feriti inaccettabile. Con una media di 561 feriti e 7,9 vittime ogni giorno, 1 ogni 3 ore, si ha un costo sociale pari a 16,4 miliardi di euro, lo 0,9% del PIL nazionale, secondo dati ACI-ISTAT 2021. Ma invece di colpire le cause principali, come la velocità e la distrazione, con politiche serie di mobilità sostenibile chiamate in Europa VisionZero, si preferisce tornare a sventolare casco e targa obbligatorie per le due ruote, che non risolvono il problema alla radice e non cambieranno le statistiche.
Per chiedere al Ministro e a tutte le forze politiche del Parlamento italiano, politiche orientate alla Vision Zero che permettano di dare spazio e sicurezza alle persone prima che alle auto, azzerando le vittime e i feriti gravi degli incidenti questa mattina Legambiente insieme alle testate La Nuova Ecologia e BikeItalia, e a FIAB, Touring Club Italiano, ACCPI, ANCMA, ASviS, Clean Cities Campaign, Fondazione Luigi Guccione, Fondazione Michele Scarponi, Associazione Lorenzo Guarneri, Kyoto Club, Salvaiciclisti, Velolove e Vivinstrada ha promosso con lo slogan BASTA MORTI IN STRADA, BASTA MORTI IN BICI, un presidio davanti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a Roma.
Proprio sotto al Ministero che a luglio aveva firmato il Manifesto “Per Città 30 e strade sicure e vitali”, insieme all’ONU, all’ANCI e all’ACI, per dare priorità a tre punti urgenti: perseguire il modello delle “Città 30”, realizzando delle living streets; fare applicare il rispetto delle norme, attraverso la tecnologia e il nudging; prevedere una legge per l’assistenza alle vittime di violenza stradale.
Per porre fine a una strage stradale continua, causata da un modello sbagliato di mobilità, la bicicletta è uno strumento straordinario di cambiamento ma necessita di strumenti e investimenti seri. Basterebbe un decimo di quanto già speso per ridurre il costo di diesel e benzina, dare piena attuazione al Piano Generale della Mobilita Ciclistica recentemente approvato e non fare passi indietro sugli strumenti introdotti con le riforme urgenti del Codice della strada, che stanno permettendo di adeguare lo spazio pubblico e la mobilità agli standard europei.