Conservazione della natura: mercoledì 30 settembre, summit cruciale per determinare le azioni strategiche utili a contrastare la perdita di biodiversità e a scongiurare il collasso degli ecosistemi nei prossimi dieci anni.
Legambiente: “Prioritario ridurre l’impatto climatico sulla biodiversità, incrementare le aree protette, rafforzare la rete Natura 2000”
Ridurre l’impatto climatico sulla biodiversità, incrementare le aree naturali protette e le zone di tutela integrale, rafforzare la rete Natura 2000 per garantire una migliore salvaguardia e governance della biodiversità: queste, secondo Legambiente, le priorità da tradurre in azioni strategiche, tanto sul fronte europeo e nazionale, quanto a livello globale, alla vigilia del vertice delle Nazioni Unite sulla biodiversità in programma domani.
“Dopo i mesi difficili che hanno inevitabilmente condizionato l’agenda politica globale, quella di domani si configura come un’occasione cruciale, da qui alla fine dell’anno, per porre gli obiettivi decennali 2020-2030 sulla conservazione della Natura, oggi in gran parte disattesi, al centro delle strategie di ripresa dal Covid-19, così come del perseguimento dello sviluppo e della cooperazione internazionale in un’ottica di ripartenza sostenibile”, dichiara Antonio Nicoletti, responsabile Aree protette e biodiversità di Legambiente. “Arrestare la perdita di biodiversità significa anzitutto rendere più forti i nostri ecosistemi e per farlo è essenziale incrementare la percentuale di aree naturali protette, sia marine che terrestri, una misura particolarmente importante anche per l’Italia, tra i Paesi europei maggiormente ricchi di biodiversità e soggetti agli impatti delle attività antropiche e dei cambiamenti climatici. Serve dunque arrivare a proteggere almeno il 30% della superficie terrestre e il 30% dei mari in Europa, con obiettivi vincolanti di ripristino della natura e una protezione più rigorosa delle foreste, così come indicato anche nella Strategia Ue sulla biodiversità per il 2030”.
Ed è proprio da parte dell’Europa che, in apertura del summit Onu di domani, arriva nero su bianco “l’impegno dei leader a favore della natura e delle persone”. Il 21 settembre scorso, infatti, il Consiglio dell’Unione europea ha autorizzato la Commissione ad approvare una dichiarazione volontaria che sottolinea come la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi richiedano misure urgenti e immediate a livello mondiale. Un documento che esprime la necessità di intensificare gli sforzi per affrontare in modo integrato e coerente sfide interconnesse quali il degrado del suolo, delle acque dolci e degli oceani, la deforestazione, l’inquinamento e i cambiamenti climatici.
Ma qual è attualmente lo stato di conservazione della biodiversità nel mondo? Secondo dati IPBES, circa il 25% delle specie animali e vegetali conosciute è minacciato dall’estinzione, mentre il 66% della superficie oceanica subisce gli impatti di attività antropiche come industria ittica, inquinamento, cambiamenti chimici da acidificazione e ben il 75% della superficie terrestre risulta significativamente alterato dalle azioni dell’uomo, incluso l’85% delle zone umide. Più del 60% delle barriere coralline del globo è minacciato dalla pesca eccessiva, e il peso stimato delle particelle di plastica presenti negli oceani di tutto il mondo è di circa 260 mila tonnellate. Dati allarmati se si considera che oltre il 75% delle colture alimentari nel mondo dipendono dall’impollinazione animale e che nel 2010 circa 2,6 miliardi di persone hanno basato la loro sussistenza parzialmente o totalmente sull’agricoltura, 1,6 miliardi sulle foreste e 250 milioni sull’industria ittica. Nel complesso, oltre il 70% delle persone in povertà è almeno in parte dipendente dalle risorse naturali per la propria sopravvivenza. Senza contare che oltre il 50% del PIL mondiale è moderatamente o fortemente dipendente dalla natura e dai suoi servizi. Eppure, il valore dei sussidi governativi che causano potenziali danni ambientali si aggira intorno ai 500 miliardi di dollari.
“Perdita della biodiversità e crisi climatica sono interdipendenti. Per raggiungere i livelli di mitigazione necessari entro il 2030 è fondamentale ripristinare le foreste, i suoli, le zone umide – sottolinea Nicoletti – Diversamente, l’umanità intera si troverà a fronteggiare dei costi elevatissimi nel prossimo decennio: dalla riduzione delle rese agricole all’aumento dell’insicurezza alimentare, dalla scomparsa di specie a rischio all’intensificarsi di inondazioni e altre catastrofi naturali. A fianco dell’incremento delle aree protette, è dunque essenziale ripristinare gli ecosistemi terrestri e marini degradati in tutta Europa, aumentando ad esempio l’agricoltura biologica, invertendo il declino degli impollinatori, riducendo l’utilizzo di pesticidi nocivi del 50% entro il 2030”.
Il ripristino della natura si configura quale elemento portante anche per risanare il sistema socio-economico globale e, così come indicato dalla Strategia Ue per la biodiversità, quale opportunità per creare nuova “occupazione verde”. In tal senso, conclude Nicoletti, “appare particolarmente importante rafforzare la rete Natura 2000, la più grande rete mondiale di zone protette, per garantire da un lato una migliore governance della biodiversità, dall’altro la creazione di nuovi posti di lavoro. Se in Europa sono già milioni gli occupati legati direttamente e indirettamente a Natura 2000 nei settori della gestione e conservazione delle zone protette, dell’agricoltura e del turismo, si prevede che in futuro le esigenze legate alla biodiversità possano arrivare a generare complessivamente fino a 500 mila ulteriori posti di lavoro”.