Legambiente: “Il Governo sul Superbonus sbaglia: il 110% non deve essere ridimensionato ma corretto e migliorato. Al Governo chiediamo inoltre di riordinare l’intera materia con Norme Tecniche specifiche che possano trasformare l’attuale politica di sostegno al settore delle costruzioni nel principale intervento per la riduzione dei gas climalteranti e di messa in sicurezza del fragile patrimonio edilizio del Paese”.
“Il governo Draghi sul Superbonus sta sbagliando di grosso: fermi il suo ridimensionamento e lo corregga per portarlo avanti nel migliore dei modi. Il Superbonus – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è infatti, ad oggi, l’unica misura concreta messa in campo per raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas climalteranti al 2030, che permette anche di contrastare il problema crescente della povertà energetica. Quanto ne è cosciente il governo? Poco o nulla e gli argomenti con cui è stata trattata la proroga della misura ne sono la triste conferma. Quanto previsto dal Consiglio dei Ministri è infatti, più che la trasformazione del 110% in una politica strutturale d’incentivo all’efficientamento energetico delle case dei cittadini, l’annuncio della fine della stessa al 2023. E non è stata cancellata da subito solo perché ci sono in ballo gli interessi delle grandi imprese, da quelle energetiche agli istituti di credito, sull’efficientamento dei condomini, per i quali sono stati “benevolmente” concessi altri due anni. Mentre vengono cancellati da subito gli interventi più piccoli che interessano solo le famiglie e le imprese artigiane”.
L’argomento principe con cui il ministro Franco ha spiegato queste scelte è l’insostenibilità economica del Superbonus. Argomento che fa il paio con le dichiarazioni del ministro Cingolani sui costi eccessivi della transizione ecologica. Questa spiegazione fa nascere immediatamente una serie di banali domande: come sono stati fatti i conti alla base delle scelte del Governo? A parte l’esborso dello Stato nella forma del credito alle famiglie, sono stati considerati i maggiori introiti provenienti dai profitti legati al rilancio dell’edilizia e dall’emersione dal nero di molti lavori di ristrutturazione? Perché vengono omesse le maggiori tasse pagate da un mondo fatto di industrie, imprese edili, artigiani, professionisti, che nel giro di pochi mesi ha visto aumentare esponenzialmente volume d’affari e numero di occupati come non si vedeva da vent’anni? Ma, soprattutto, la contabilità del ministro tiene conto dei costi del mancato efficientamento del nostro patrimonio edilizio? Qual è la stima anche solo dei disastri degli ultimi anni? Il Governo mette in relazione le due questioni? E infine, se un incentivo così sostanzioso all’efficientamento del patrimonio edilizio italiano viene valutato insostenibile, quali altre misure per raggiungere gli obiettivi del 2030 il Governo ritiene più sostenibili? Prima di abbandonare l’unica misura finora messa in campo, infatti, bisognerebbe proporre una o più alternative.
“L’attuale normativa sul 110% è però una misura tutt’altro che perfetta e andrebbe modificata in alcune parti. Non esclude – spiega Ciafani – ad esempio il sostegno alle fonti fossili, come nel caso delle caldaie a gas. È ingiusta perché esclude le case prive di impianto termico fisso, e quindi le famiglie più povere, nonché una parte importante del patrimonio edilizio del Sud d’Italia che è fatto di abitazioni che sono riscaldate con impianti meno efficienti e pericolosi, quali stufe a gas ed elettriche e che, proprio per questo, sarebbe più utile e sicuro rendere efficienti.
È tanto farraginosa da renderne complicato l’accesso a gran parte delle famiglie e alle piccole imprese. La sua farraginosità aumenta a dismisura lo spazio per gli abusi della burocrazia e non garantisce affatto una maggiore trasparenza e un maggior controllo sulle truffe. Disincentiva (rendendoli molto più complicati) gli interventi più performanti e coraggiosi, incentivando, di conseguenza, i progetti minimali, tesi esclusivamente a raggiungere il risultato minimo per l’accesso all’incentivo. Non prevede infine un accesso al credito agevolato, limitando molto la possibilità delle famiglie di usufruirne, è legata al finanziamento di singoli interventi e non incentiva interventi complessi di rigenerazione urbana”.
Per queste ragioni, dopo oltre venticinque anni nel corso dei quali i vari bonus edilizi sono stati prorogati di anno in anno con un comma in finanziaria, Legambiente chiede al governo di riordinare l’intera materia con la produzione di Norme Tecniche specifiche che possano trasformare l’attuale politica di sostegno al settore delle costruzioni nel principale intervento per la riduzione dei gas climalteranti e di messa in sicurezza del fragile patrimonio edilizio del nostro Paese.
Un riordino che possa fornire trasparenza, non discriminare le famiglie in condizione di povertà energetica, agevolare le famiglie nell’accesso al credito, rendere più convenienti gli interventi tesi a raggiungere la massima efficienza energetica. Più che cancellare il Superbonus, bisognerebbe quindi rilanciare trasformandolo in una misura strutturale capace di diventare lo strumento principe anche per la rigenerazione urbana.