Presentato a Madrid il report sulle performance climatiche realizzato da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute e con la collaborazione di Legambiente per l’Italia. Il nostro Paese continua a perdere posizioni e scende al 26° posto.
Legambiente: “Dalla Cop25 ci aspettiamo una maggiore ambizione dei governi per fronteggiare l’emergenza climatica. L’Italia deve invertire subito la rotta con un Piano Clima-Energia ambizioso e coerente con la soglia critica di 1.5°C”
Le azioni messe in campo dall’Italia per fronteggiare la crisi climatica non sono sufficienti e appaiono inadeguate a dare piena attuazione agli obiettivi di lungo termine fissati nell’Accordo di Parigi. A certificarlo è il rapporto Germanwatch, CAN e NewClimate Institute, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia, che segnala un ulteriore crollo del nostro Paese nella classifica sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta.
Nello studio – presentato questa mattina a Madrid, dov’è in corso la Conferenza sul clima (COP25) – si prende in considerazione la performance climatica di 57 paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano circa il 90% delle emissioni globali. La performance è misurata, attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il CCPI si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
Come detto l’Italia perde ancora posizioni e scende al 26°posto rispetto al 23° dello scorso anno (e al 16° di due anni fa), nonostante una piccola riduzione delle emissioni (-1% nel 2018 rispetto all’anno precedente). Una performance negativa dovuta principalmente al rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili (29esima posizione) e per una politica climatica nazionale inadeguata agli obiettivi di Parigi. La bozza del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) consente solo una riduzione delle emissioni al 2030 di appena il 37%. Un passo indietro rispetto alla Strategia Energetica Nazionale (SEN) adottata nel dicembre 2017 che fissava un obiettivo del 42%. È, nel complesso, l’intera Unione europea, purtroppo, a fare quest’anno un notevole passo indietro, posizionandosi al 22° posto rispetto al 16° dello scorso anno, a causa della scarsa efficacia delle politiche nazionali che rischiano di compromettere il raggiungimento degli obiettivi al 2030 per clima ed energia. Infatti, secondo le recenti proiezioni dell’Agenzia europea dell’ambiente, il trend di riduzione delle emissioni al 2030 è di appena il 36%, inferiore all’inadeguato obiettivo attuale del 40%.
«L’Italia può e deve fare la sua parte nella lotta alla crisi climatica, ma serve un drastico cambio di passo rispetto al Piano Nazionale Integrato Energia e Clima proposto dal governo – dichiara da Madrid dov’è in corso la Cop25 Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente -. Nel piano italiano non si va oltre una prospettiva di riduzione delle emissioni di appena il 37%, con una proiezione al 2050 del 64%. Obiettivo ben al di sotto delle possibilità del nostro Paese, come abbiamo recentemente dimostrato presentando una roadmap che consentirebbe di anticipare la completa decarbonizzazione della nostra economia entro il 2040, grazie ad un pacchetto di misure ambizioso e perfettamente praticabile fin da subito. Solo così l’Italia potrà essere protagonista in Europa nella lotta all’emergenza climatica e dare gambe ad un vero Green New Deal nella transizione verso un’economia globale libera da fonti fossili, circolare e a zero emissioni».
Secondo Legambiente sarà così possibile colmare il ritardo degli anni passati e raggiungere una riduzione delle emissioni del 60% già entro il 2030, grazie al fondamentale contributo degli assorbimenti (-8%) indispensabili per compensare, in particolare, le emissioni del settore industriale che presenta le maggiori difficoltà per una rapida decarbonizzazione. Un impegno che anche l’Europa dovrà assumere nel corso della Cop25, andando ben oltre il 55% già proposto da diversi governi europei, dall’Europarlamento e dalla Presidente della nuova Commissione Ursula von der Leyen. L’Europa può e deve ridurre le sue emissioni di almeno il 65% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, per raggiungere zero emissioni nette in modo economicamente efficiente entro il 2040, anticipando gli impegni di riduzione delle emissioni secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi per i paesi industrializzati.
Tornando al rapporto, anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei paesi ha raggiunto la performance necessaria per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici in corso, in coerenza con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e non superare la soglia critica di 1.5°C.
Al 4° posto si classifica ancora una volta la Svezia grazie ad un’ambiziosa politica climatica e una continua crescita delle rinnovabili, seguita dalla Danimarca che fa un grande passo in avanti salendo di dieci posizioni rispetto allo scorso anno. Tra i paesi emergenti, l’India migliora ancora la sua performance posizionandosi al 9° posto, grazie alle basse emissioni pro-capite e al considerevole sviluppo delle rinnovabili. La Germania fa un piccolo passo in avanti posizionandosi al 23°posto. Performance dovuta alla recente approvazione del pacchetto clima, che prevede tra l’altro il phasing-out del carbone entro il 2038.
Anche la Cina registra miglioramenti e raggiunge il centro della classifica posizionandosi al 30° posto, grazie ad una politica climatica più incisiva e all’ulteriore sviluppo delle rinnovabili, ma la scarsa performance nella riduzione delle emissioni e nell’efficienza energetica continuano ad avere un peso negativo sul suo ranking.
Per la prima volta l’Arabia Saudita (60) lascia il fondo della classifica agli Stati Uniti (61). Con Trump gli USA continuano ad indietreggiare in quasi tutti gli indicatori compromettendo i passi in avanti degli scorsi anni. Tuttavia, segnali positivi giungono dall’inedita Alleanza per il Clima – oltre 3.000 tra stati, città, imprese nazionali e multinazionali, università e college – che sta lavorando per mantenere gli impegni assunti a Parigi attraverso un’azione congiunta che va oltre le attività dell’amministrazione federale.
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