“C’è Puzza di Gas” in Liguria

Quinta tappa della campagna d’informazione e sensibilizzazione di Legambiente sui rischi legati alle dispersioni e agli sprechi di gas fossile.

Sarti, Legambiente: «Dal rigassificatore di Panigaglia ingenti emissioni dirette di metano in atmosfera, non giustificabili da una condizione emergenziale. Individuare gli strumenti normativi per abolire il venting, monitorare le perdite dal grave impatto ambientale e con ripercussioni economiche e intervenire per ripararle»

Porto Venere, (Sp) 19 novembre 2022. È arrivatain Liguria, a Porto Venere (SP), la campagna d’informazione e sensibilizzazione “C’è Puzza di Gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso” promossa da Legambiente e sviluppata con il supporto di Clean Air Task Force (CATF). Due gli obiettivi dell’iniziativa: far conoscere ai territori, alle cittadine e ai cittadini i rischi legati alle dispersioni dirette e agli sprechi di gas fossile immesso direttamente in atmosfera e spingere l’Italia e l’Europa ad approvare norme e regolamenti ambiziosi finalizzati a ridurne nel tempo, fino ad azzerarne, le emissioni.

La mattinata è iniziata alle 9,30 con un flash mob organizzato da Legambiente nei pressi dell’ingresso del rigassificatore di Panigaglia, un sito più volte monitorato da CATF nel 2021, dove sono stati identificati ingenti rilasci volontari di gas metano in atmosfera.

A seguire, alle ore 11.00, nella Sala Comunale Fezzano di Porto Venere si è svolta la conferenza stampa di presentazione di “C’è Puzza di Gas”, con gli interventi di Adriano Della Bruna, responsabile nazionale della campagna e di Stefano Sarti, vicepresidente di Legambiente Liguria. Hanno partecipato Fabio Carassale e Franco Talevi, consiglieri comunali di Porto Venere, Andrea Frau, consigliere comunale della Spezia e i consiglieri regionali Davide Natale e Paolo Ugolini.

Durante l’incontro si è evidenziato come, nel difficile contesto energetico attuale, le infrastrutture fossili in Liguria rappresentino un importante snodo per la diversificazione degli approvvigionamenti: lo testimoniano gli 1,3 miliardi di metri cubi di gas importati presso il rigassificatore di Panigaglia tra gennaio e settembre 2022, cresciuti del 31,5% rispetto al 2021.

«Con l’aumento dei flussi di gas fossile in transito presso Panigaglia e non solo, sia di importazione dall’estero che di potenziale esportazione verso la Sardegna, è fondamentale individuare degli strumenti normativi nazionali ed europei in grado di obbligare le imprese a monitorare le possibili dispersioni di gas fossile, ma anche intervenire subito, vietare le pratiche di venting di routine e di flaring entro il 2025 – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente –  Intervenire su questi sprechi è fondamentale non solo per il grave impatto climatico che tali perdite comportano, ma anche per ridurre ed eliminare lo spreco di una risorsa oggi centrale nelle politiche energetiche del Paese e non solo».

Il mix energetico ligure. La Liguria ha un mix energetico in gran parte incentrato sull’utilizzo delle fonti fossili. Nel settore elettrico, per esempio, a fronte di circa 2,5 TWh prodotti nel 2020, ben 1,95 TWh sono stati prodotti da impianti termoelettrici a fonte tradizionale, ovvero l’80% del totale.

Tra i combustibili più utilizzati troviamo il gas fossile: stime del Mise parlano di 1,35 miliardi di metri cubi di gas fossile distribuiti nella regione nel 2020, per la maggior parte finiti nelle reti di distribuzione, mentre appena un quinto è stato destinato al settore termoelettrico. Non meno rilevanti sono i consumi di combustibili solidi – nel 2020ne sono state utilizzate 100,4 migliaia di tonnellate per produrre 245,5 GWh di elettricità – e di prodotti petroliferi, tra le principali fonti utilizzate nei restanti settori, quasi alla pari del gas fossile.

Due, principalmente, gli elementi di rilievo che si possono leggere nella politica energetica fossile della Liguria: l’importante produzione di energia termoelettrica, tanto che nel 2020 ben 2,7 TWh di elettricità sono stati ceduti ad altre regioni, e la presenza del rigassificatore di Panigaglia, infrastruttura strategica in un territorio dove non sussistono attività di esplorazione o produzione d’idrocarburi e la filiera del gas fossile riguarda in prevalenza il consumo e trasporto della risorsa.

Infrastrutture fossili e criticità. Sul fronte termoelettrico, la Liguria conta due tra gli impianti a fossili più imponenti d’Italia: la centrale Eugenio Montale, alla Spezia, e quella di Vado Ligure, in provincia di Savona. Considerata l’attivazione per ammodernarle o prolungarne la vita, a oggi non sembra esserci tuttavia l’intenzione di ragionare su una seria strategia di abbandono del fossile per la produzione di elettricità nella Regione.

Per quanto concerne, invece, il rigassificatore di Panigaglia, lo scoppio del conflitto in Ucraina e l’avvio di una strategia di diversificazione dei fornitori attuata dal Governo hanno comportato un aumento della quantità di GNL importato e un incremento della rigassificazione presso il terminale del 31,5% rispetto al 2021.

Tra le indagini condotte da Clean Air Task Force sulle perdite di metano in diversi siti italiani, i rilevamenti fatti nel rigassificatore di Panigaglia mostrano immagini tra le più preoccupanti. Per meglio comprendere il fenomeno, Legambiente richiama anche le dichiarazioni di Snam rilasciate alla trasmissione Report ad aprile 2022, secondo cui nel 2020 dal sito di Panigaglia sarebbero state rilasciate circa 786 tonnellate di emissioni dirette di metano in atmosfera, pari al consumo annuo di circa 1.200 famiglie.

«Le riprese effettuate a Panigaglia hanno mostrato ingenti emissioni dirette di metano in atmosfera, rilevate per diversi giorni e in maniera continua, dunque non giustificabili da una condizione emergenziale – commenta Stefano Sarti, Vice Presidente Legambiente Liguria – Oltre alla necessità di strumenti utili a monitorare una situazione dagli impatti negativi sul territorio, a livello più generale si evidenzia la mancanza di un Piano Energetico Regionale aggiornato e proiettato al 2030-2050, che rende complesso prevedere gli sviluppi futuri del settore e un piano di decarbonizzazione da seguire per centrare gli obiettivi climatici.»