L’inquinamento da PFAS è un’emergenza cronica ancora irrisolta tra ritardi e rimpalli di responsabilità a discapito dell’ambiente e della salute dei cittadini. La campagna di Legambiente #liberidaiVeleni fa tappa sul fiume Fratta Gorzone.
Da Cologna Veneta (VR) Legambiente lancia un appello a MITE e Regione Veneto indicando le tre azioni prioritarie su cui concentrarsi: accelerare le bonifiche di acque, falde e suoli oggi in forte ritardo, definire limiti nazionali stringenti che portino all’eliminazione graduale dei PFAS nei processi produttivi e affrontare concretamente l’annosa vicenda del collettore Arica.
Dopo la Terra dei Fuochi in Campania e la Valle del Sacco nel Lazio, nella Penisola c’è un’altra ferita ancora aperta e sanguinante su cui occorre intervenire. È quella riguardante l’area delle province di Vicenza, Verona e Padova, in Veneto, colpita negli anni dall’inquinamento delle acque superficiali e falde acquifere da PFAS iniziato secondo l’Arpa regionale già dalla fine degli anni ‘70.
La maggior indiziata, secondo le analisi di Arpa Veneto, è la Miteni Spa, ex Rimar, una fabbrica chimica che insiste sui territori di Trissino (Vicenza), già rinviata a giudizio assieme ai quindici manager imputati per avvelenamento delle acque e altri reati. Il processo coinvolgerà anche la Mitsubishi e il fondo finanziario ICIG quali responsabili civili a fianco degli imputati e Legambiente si è già costituita tra le parti civili. Ma oggi a preoccupare è anche lo scarico del collettore Arica nel fiume Fratta nei pressi di Cologna Veneta in provincia di Verona. Un collettore che tuttora viene utilizzato per scaricare a valle i reflui industriali prodotti dalle aziende conciarie e chimiche del Vicentino (dove è ubicata anche lo stabilimento Miteni). Reflui che, oltre ad aver contribuito in modo pesantissimo alla contaminazione da PFAS, continuano ancora oggi a riversarsi nel fiume Fratta. Un corso d’acqua afflitto da numerose problematiche e osservato speciale da Legambiente che oggi qui farà tappa con la campagna nazionale #liberidaiveleni per il risanamento ambientale e il diritto alla salute nei territori dell’Italia inquinata e con il progetto “Operazione Fiumi – Esplorare per Custodire” finanziato dalla Regione del Veneto con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.
Chiaro e diretto l’appello che Legambiente rivolge al Ministero della Transizione Ecologica e alla Regione Veneto chiedendo di concentrarsi su tre azioni prioritari: accelerare le bonifiche delle falde, delle acque superficiali (a partire dal Fratta Gorzone) e del sito della Miteni ancora oggi in forte ritardo, definire i limiti nazionali stringenti rispetto a queste sostanze inquinanti che portino all’eliminazione graduale dei PFAS nei processi produttivi e affrontare concretamente l’annosa vicenda del collettore Arica. Azioni e temi non più rinviabili perché l’acqua è un bene primario che va tutelato e difeso insieme all’ambiente e alla salute dei cittadini senza dimenticare che chi inquina deve essere punito in base a quanto previsto anche dalla legge 68/2015 sugli ecoreati. Per questo oggi Legambiente ha organizzato in piazza del Mandamento, a Cologna Veneta (Vr), una presentazione pubblica sullo stato di salute del Fratta Gorzone con i dati del monitoraggio realizzato dall’associazione, seguirà al termine un flash mob di protesta #liberidaiveleni #basta Pfas per mantenere la massima attenzione sul tema e sul problema delle acque contaminate, in un giorno doppiamente particolare visto che si celebra anche il X anniversario sul referendum dell’acqua, bene comune.
“La difesa delle falde e della salute dei cittadini – Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – è un elemento imprescindibile per liberare l’Italia dai veleni e su cui il Paese dovrà misurarsi anche con il Piano Nazionale di ripresa e resilienza. Sull’emergenza PFAS in Veneto, che rischia di diventare uno dei più grandi disastri ambientali che coinvolge le acque potabili, di falda e superficiali, è ora di dire basta a ritardi e rimpalli di responsabilità e di passare dalle parole ai fatti per garantire al popolo inquinato un futuro migliore conciliando tutela dell’ambiente e della salute. Per questo ci aspettiamo in primis dal Governo un cambio di passo deciso e misure davvero concrete a partire da più risorse per il risanamento ambientale, l’acqua è un bene primario e comune che va difeso, e la transizione ecologica parte anche qui”.
I composti perfluorurati (PFAS o PFC) e polifluorurati sono prodotti chimici organici di sintesi, e sono utilizzati da più di 60 anni come impermeabilizzanti per tessuti, pelli e carta oleata; schiume antincendio per gli estintori; ritardanti di fiamma in materassi, tappeti, divani, sedili delle auto; cera per pavimenti e detersivi; scioline; contenitori per alimenti. Considerati contaminanti emergenti globali destano grande preoccupazione a causa della loro persistenza nell’ambiente e, per i PFAS non polimerici, della loro solubilità in acqua che ne favorisce il trasporto su grandi distanze. Secondo gli ultimi dati estrapolati dal Rapporto dello Stato Ambientale in Veneto del 2020, la rete di monitoraggi specifica per i PFAS messa in campo dall’Arpav in questi anni vede 205 stazioni fluviali e 15 stazioni lacustri: le maggiori criticità legate alla presenza di PFOS (una delle famiglie di queste composti) riguardano circa cinquanta corpi idrici nei bacini idrografici del Brenta, Fratta Gorzone, Bacchiglione, bacini scolante in Laguna di Venezia, Fissero Tartaro Canalbianco, Livenza, Po e Sile; sono stati invece sei i superamenti di PFOA nei bacini Bacchiglione e Fratta Gorzone. Per le acque sotterranee, in 40 dei 204 punti di monitoraggio previsti sono stati rilevati PFAS con una concentrazione superiore a 5 nanogrammi/litro: in particolare si evidenzia come il PFOA è la sostanza che si ritrova con le concentrazioni maggiori in maniera più frequente mentre il maggior numero assoluto di superamenti è dovuto al PFOS.
In particolare, la rete di monitoraggio delle acque sotterranee istituita da ARPAV nel 2015 che monitora l’evoluzione dell’inquinamento dei corpi idrici sotterranei causato dall’impianto industriale chimico della Miteni SpA nel comune di Trissino (VI), ha permesso di individuare tre zone a maggior contaminazione: la prima in prossimità del sito inquinato che è – di fatto – la sorgente della contaminazione; le altre due, ricadenti più a est e più a sud dall’epicentro inquinante, comprendono i territori ricadenti tra i comuni di Creazzo-Vicenza e di Sarego e Lonigo. Sempre secondo il report di Arpav del 2020 “risulta evidente un asse inquinante a maggior concentrazione lungo la congiungente Trissino-Montecchio Maggiore-Sovizzo-Creazzo verso est. Tale distribuzione riflette direttamente una direttrice preferenziale di inquinamento riconducibile a un corridoio a maggior velocità di falda riferibile al particolare assetto idrogeologico dell’area”.
“Purtroppo – spiega Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – siamo di fronte ad un territorio che deve ancora chiudere i conti con il grande problema dell’inquinamento da PFAS, senza questo fondamentale passo sarà davvero difficile partecipare anche territorialmente alla ripresa del Paese in chiave di transizione ecologica ed accedere alle risorse del NGEU. In questi anni la portata dell’inquinamento non solo da PFAS è stata sottovalutata e il pessimo stato di salute in cui versa il fiume Fratta Gorzone ne è l’ennesima testimonianza. Per questo oggi torniamo a ribadire l’urgenza di intervenire subito e in fretta sia a livello nazionale sia a livello regionale e tra le prime cose da fare c’è senz’altro quella di stabilire al più presto limiti stringenti che portino all’eliminazione graduale dei PFAS nei processi produttivi”.
Tornando alle tre azioni prioritarie rilanciate oggi da Legambiente, oltre alla questione delle bonifiche, l’altro tema da affrontare al più presto riguarda i limiti normativi previsti per queste sostanze. Da diversi anni e in piena emergenza la Regione Veneto ha adottato, sentiti i pareri dell’Istituto Superiore della Sanità, limiti per le acque potabili molto stringenti rispetto alla normativa europea; ha dovuto inoltre adottare anche dei limiti allo scarico in assenza di una legiferazione a livello nazionale. Per i sedimenti si è fatto riferimento a limiti previsti per siti industriali quando a livello europeo, su cui si sono accesi i riflettori per questo tipo di sostanze, per la stessa matrice, si stanno delineando valori molto più stringenti (anche di un paio di ordini di grandezza). Per Legambiente in questo vuoto normativo ormai non è più rinviabile una seria e stringente valutazione nazionale che imponga limiti certi, validi a livello nazionale e secondo le più recenti evidenze scientifiche internazionali sulla tossicità e persistenza di queste sostanze per arrivare a zero emissioni PFAS.
Sulla vicenda del collettore Arica e dei reflui che ancora oggi continuano a riversarsi nel fiume Fratta, Legambiente ricorda infine che per diluire le concentrazioni dello scarico non si è trovato di meglio che sprecare 6 metri cubi secondo di acqua di buona qualità prelevata dall’Adige dal canale artificiale irriguo denominato LEB che ha il compito di garantire l’irrigazione di un’ampia area del Veneto centro-meridionale. Questa soluzione è un palliativo e non risolve il problema dell’inquinamento del bacino Fratta-Gorzone. Recentemente, per di più, è stato previsto l’adeguamento del collettore Arica verso il depuratore di Cologna Veneta, un intervento che servirà solo a spostare l’inquinamento più a valle (di 3,8 km), senza risolvere in alcun modo il problema. Costo dell’opera circa 11 milioni di euro di soldi pubblici.
Sulla questione è intervenuto anche il Commissario europeo per l’Ambiente Virginijus Sinkevičius che ha ribadito alle istituzioni italiane che la competenza per la Valutazione di Impatto Ambientale del progetto di prolungamento del collettore spetta alle autorità nazionali. Da qui l’azione del Ministero della Transizione ecologica che ha scritto a tutti gli enti interessati (Regione, Provincia, Comune di Cologna, Acque Veronesi, Arpav ed Unione dei Comuni Adige Guà) chiedendo chiarimenti non solo sui procedimenti in essere ma soprattutto ribadendo che la legge impone che gli scarichi vengano disciplinati nel “rispetto della qualità dei corpi idrici che li accolgono” e che, quindi, non è possibile diluire i reflui miscelandoli con altri corpi idrici come invece si sta facendo da anni con lo scarico di Arica. Un primo passo al quale, auspica l’associazione, seguano altri fatti concreti per affrontare la questione PFAS non solo in Veneto ma anche in Piemonte, nella provincia di Alessandria, altro focolaio conclamato di inquinamento da PFAS. L’eliminazione di queste sostanze e dei suoi derivati dai processi produttivi è l’unico modo per dare concretezza al “Zero Pollution Action Plan” presentato recentemente dalla Commissione europea. Prevenire l’inquinamento alla fonte è l’unica soluzione garantire la completa tutela della salute e della biodiversità.