1994-2015 Storia di una lunga marcia contro l’Ecomafia in nome del popolo inquinati. A cura di Enrico Fontana, Stefano Ciafani e Peppe Ruggero.
Dopo più di vent’anni di lunga ed estenuante attesa, nel nostro codice penale compaiono per la prima volta i delitti ambientali. Da una pagina di storia scritta anche dalla nostra associazione “in nome del popolo inquinato”, conquistata a forza di provarci in ogni legislatura, mettendoci sempre la faccia e per una volta felici di poterla raccontare.
È la sera del 19 maggio quando il Senato approva a stragrande maggioranza il Ddl 1345 B, un disegno di legge trasversale frutto del coordinamento di tre distinte proposte di legge a firma dei deputati Ermete Realacci (Pd), Salvatore Micillo (M5s) e Serena Pellegrino (Sel), che introduce nel nostro ordinamento 5 delitti ambientali, più una serie di aggravanti e un sistema di estinzione amministrativo delle contravvenzioni (solo per reati ambientali che non hanno cagionato danno o pericolo concreto di danno).
Una riforma che nasce da una iniziativa del Parlamento, circostanza tutt’altro che usuale, che fa assumere un significato ancora più speciale a questo passaggio storico a difesa dell’ambiente. Si cambia paradigma giuridico per la tutela penale degli ecosistemi, almeno per i reati più gravi e impattanti, messi finalmente all’interno del nostro codice Rocco. Così il legislatore assume il volto severo che meritano reati di tale natura. Diventano delitto l’inquinamento e il disastro ambientale, fino a ieri grandi assenti nel diritto penale e nelle aule giudiziarie. Una novità non da poco.
Se fino a ieri i grandi inquinatori erano perseguiti (non tanto convintamente, visti gli esiti infausti) da magistrati e forze dell’ordine tirando per il collo articoli del codice penale previsti per punire il crollo di costruzioni (art. 434, il cosiddetto disastro innominato), oppure il getto pericoloso di cose o l’insudiciamento delle colture o il danneggiamento di beni o altri articolo pensati e scritti per altro, da oggi, invece, potranno contare su fattispecie specifiche da contestare. All’inquinamento e disastro ambientale vanno sommati gli altri tre delitti: traffico e abbandono di materiale radioattivo, l’impedimento del controllo e l’omessa bonifica. I tempi di prescrizione raddoppiano ed è prevista una lunga serie di aggravanti (tra cui quelle contro l’ecomafia e i pubblici funzionari corrotti), anche specificatamente posti a tutela della pubblica incolumità. Un elenco di delitti che peraltro non sostituisce o abroga affatto ciò che c’era prima, continuando a esistere i soliti reati contravvenzionali. Anzi, proprio a scanso di equivoci, l’articolo 452 – quater, quello che disciplina il disastro ambientale, fa espressamente salvo il vecchio disastro innominato (art. 434 cp). Possono così dormire sonni tranquilli anche i più accaniti detrattori e assertori dei meriti di quel delitto (lo stesso che la Corte di Cassazione ha bocciato recentemente nelle sentenza cosiddetta Eternit e non solo). Una riforma che è il frutto di un percorso tortuoso, lungo e faticoso, che ha visto Legambiente in prima linea sin dall’inizio di questa avventura, credendoci anche nei momenti più difficili, dimostrando l’enorme importanza che la società civile può assumere per imporre l’interesse collettivo al centro dell’azione politica, al di là dei singoli schieramenti partitici. Senza questo lavoro di sintesi e di tessitura politica e sociale, probabilmente, oggi racconteremmo l’Italia zoppa di sempre, dell’ingiustizia ambientale e della sistematica impunità per i “ladri di futuro”.
Senza avere la pretesa di essere la riforma perfetta, insomma, quanto meno costituisce un ottimo punto di partenza. Nelle prossime settimane vedremo anche i primi frutti (inchieste) di questo nostro lavoro più che ventennale. Il dado è ormai tratto.”
1994-2015 Storia di una lunga marcia contro l’Ecomafia in nome del popolo inquinato
a cura di Enrico Fontana, Stefano Ciafani e Peppe Ruggiero
prefazione di Roberto Saviano
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