Il consumo di suolo continua, in otto anni ci siamo giocati l’Umbria. Legambiente: “Non possiamo più permetterci di sprecare spazi, suoli e rendite urbane. Serve una legge nazionale per fermare il consumo di suolo e per il governo del territorio, che permetta anche di mobilitare risorse per l’adattamento climatico e il ripristino di aree urbane verdi e permeabili”.
Per Legambiente dai dati presentati oggi da ISPRA sul consumo di suolo in Italia emerge un quadro negativo e sostanzialmente invariato. Il lieve calo nei dati 2023 appare come un ‘assestamento’ dopo il 2022 con il suo picco dovuto alla ripresa dei cantieri seguita agli anni di pandemia, per il resto il trend resta sostanzialmente immutato: la crescita del consumo di suolo appare una costante ‘strutturale’ per il nostro Paese, che ogni anno cementifica circa 70 chilometri quadrati di territorio, trasformando campi e boschi in piazzali, strade e capannoni. Per farsi un’idea, è come se ogni anno in Italia spuntasse una nuova città grande come Napoli. ISPRA ha iniziato a compilare il suo rapporto sul consumo di suolo con cadenza annuale 8 anni fa, e in questo periodo di tempo la crescita di superfici urbanizzate è stata di quasi 500 chilometri quadrati, cioè più di tutte le superfici urbanizzate presenti in una regione delle dimensioni dell’Umbria, conteggiando case, fabbriche, centri commerciali, strade e piazzali.
“Il governo del territorio in Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è ormai totalmente sguarnito di strumenti efficaci per evitare la crescita di disordine e degrado territoriale: la normativa urbanistica italiana è stata scritta ben 82 anni fa, in un Paese in guerra e in cui gran parte della popolazione viveva nelle campagne, e da allora si è proceduto per aggiustamenti, rattoppi e deleghe alle Regioni. Serve una legge per fermare il consumo di suolo e riordinare l’intera materia, che imposti principi e meccanismi di funzionamento generale, e che metta al primo posto l’efficienza delle trasformazioni, per prevenire rischio idrogeologico e perdita di quei preziosi servizi ecosistemici che solo un suolo sano è in grado di erogare”.
“Gran parte del consumo di suolo si concentra nelle maggiori città, che sono sotto le lenti di grandi gruppi immobiliari: l’Italia con la bellezza dei propri centri storici – commenta Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente – è un potenziale attrattore di importanti investimenti immobiliari, che però devono potersi sviluppare all’interno di progetti urbani ben presidiati dall’istituzione pubblica, per evitare il ripetersi di gravi anomalie, come quella a cui si tenta di rispondere con il discutibile provvedimento ‘SalvaMilano’: alle città servono grandi risorse economiche, ad esempio per le sfide dell’adattamento al riscaldamento climatico e per quelle della coesione sociale e abitativa. Non si può accettare che le città italiane, Milano in testa, collochino diritti immobiliari su mercati speculativi low cost, anche per questo servono nuove e attuali regole”
Legambiente sottolinea che l’immagine più inquietante è che si sta consumando suolo in un Paese che, nello stesso arco di tempo, non ha visto crescere la propria popolazione: al contrario, siamo entrati in una fase di vistosa decrescita, considerato che nello stesso periodo l’Italia ha perso 2 milioni di abitanti. Il rapporto tra suolo cementificato e variazione demografica genera un dato monstre: in 8 anni è come se avessimo consumato 300 mq di suolo per ogni abitante in meno. Stiamo costruendo milioni di villette per fantasmi? Ovviamente no, quello che stiamo facendo è sviluppare una urbanizzazione drammaticamente inefficiente in termini di uso del suolo, ed è qualcosa che, come Paese, non ci possiamo assolutamente permettere: sacrificare una risorsa scarsa e di grande valore ecologico oltre che produttivo per aumentare superfici sottoutilizzate o del tutto dismesse. Il Nord Italia, che da solo ‘cuba’ quasi metà del consumo di suolo nazionale, subisce gli effetti di una crescita disordinata di nuove funzioni terziarie e industriali, in primo luogo di grandi poli logistici e data center, che quasi mai si ricollocano sulle enormi superfici industriali e commerciali dismesse, ma occupano nuovi suoli sottraendoli all’agricoltura. Non meno allarmanti sono i fenomeni di nuove urbanizzazioni a Sud dove – soprattutto tra Puglia, Sicilia e Basilicata – si assiste alla crescita di nuove urbanizzazioni nelle periferie di città, i cui centri storici vengono invece sempre più lasciati all’abbandono.
La disaggregazione regionale dei dati prodotti da ISPRA genera altre evidenze sconcertanti: quest’anno le Regioni che hanno consumato più suolo sono state Emilia-Romagna e Lombardia. Si tratta di due tra le prime regioni a dotarsi di leggi contro il consumo di suolo, un decennio fa. Occorre fare i conti non solo con la mancanza di una legge nazionale contro il consumo di suolo, ma anche con l’inefficacia delle norme di cui si sono dotate le regioni per tentare di supplire all’inazione delle compagini parlamentari che si sono succedute con alterne maggioranze alla guida del Paese.
Anche per quanto riguarda le città il rapporto di ISPRA consegna conferme e nuove allarmanti evidenze. Una conferma è il poco onorevole primato di Roma come capitale del consumo di suolo: anche se in calo rispetto ad annate recenti, e fatte le dovute proporzioni per tener conto della differente popolazione, Roma continua ad espandere il proprio territorio urbanizzato ad una velocità più che tripla rispetto a quella media delle altre grandi città italiane. Tra le città di grande taglia, tolta Roma, Milano si conferma quella che consuma più suolo, mentre Napoli e Torino sembrano fare maggiormente i conti con una dinamica demografica recessiva.