“L’impronta idrica come strumento di adattamento alla crisi climatica” al IV Forum Acqua

In Italia si prelevano più di 33 miliardi di metri cubi l’anno, di cui si perde il 22%. Tra i settori più “idroesigenti” quello agricolo (55%), industriale (27%) e civile (18%).

Legambiente: “Utilizzare lo strumento dell’impronta idrica per migliorare la gestione delle risorse idriche e la sostenibilità ambientale dei processi, aumentare la consapevolezza dei consumatori e produttori e cambiare il modello di gestione dell’acqua in ambito urbano”. 

Utilizzare l’impronta idrica come strumento per il miglioramento dell’efficienza d’utilizzo della risorsa idrica di settori, processi e prodotti e di adattamento alla crisi climatica. Questo l’invito che lancia oggi Legambiente, in occasione della IV edizione del Forum Acqua “L’impronta idrica come strumento di adattamento alla crisi climatica”, che si tiene questa mattina presso il Centro Congressi Cavour di Roma e in diretta streaming sui canali social di Legambiente e La Nuova Ecologia. Organizzata dall’associazione ambientalista in collaborazione con Utilitalia, con partner principali Assocarta e Celli Group, partner Anbi e il patrocinio del Ministero della Transizione Ecologica e della Regione Lazio.

L’acqua è la risorsa naturale che più soffre problemi di sbagliata gestione, di eccessivo uso e la più sensibile all’inquinamento. Ad incrementare la sua vulnerabilità è la forte crescita di eventi climatici estremi – come eventi meteorici molto intensi e lunghi periodi di siccità – che causano danni ai territori, alle attività produttive, alla salute dei cittadini e agli ecosistemi. In Italia ogni anno si consumano oltre 26 miliardi di m³ di acqua: il 55% circa della domanda proviene dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile[1]. Il prelievo di acqua supera però i 33 miliardi di m³ l’anno. Infatti, i consumi rappresentano, poco meno del 78% dei prelievi a causa di un ammontare di perdite pari a circa il 22% del prelievo totale e di queste perdite il 17% si verificano nel settore agricolo e il 40% in quello civile[2]. Ma l’impatto sulla risorsa idrica del nostro Paese è molto più di quanto raccontato. Secondo i dati del water footprint network, infatti, l’impronta idrica dell’Italia è stimata in circa 130 miliardi di m³ all’anno – una delle più alte d’Europa – di cui il 60% è relativo all’acqua utilizzata per prodotti o ingredienti importati dall’estero. Numeri non più sostenibili su cui bisogna intervenire rapidamente.

Il nuovo approccio. Da qui la proposta di Legambiente: adottare un approccio integrato e multi-sistemico, basato proprio sull’impronta idrica, allo scopo di assumere, lungo tutto il ciclo dell’acqua, un atteggiamento più responsabile e sostenibile. I cui obiettivi sono: migliorare la gestione delle risorse idriche, riducendo i rischi provocati da un eccessivo sfruttamento o inquinamento delle fonti d’acqua, per quest’ultimo occorre quanto prima completare la rete fognaria e di depurazione ed eliminare gli scarichi industriali, portando ad una maggiore disponibilità e qualità della risorsa; migliorare la sostenibilità ambientale dei processi, identificando gli impatti sull’ambiente naturale ed individuando le modalità per la loro diminuzione. E ancora aumentare la consapevolezza nei confronti dei consumatori finali e dei produttori, incrementando anche la responsabilità. Infine, cambiare il modello di gestione dell’acqua in ambito urbano, a partire dalla progettazione e realizzazione di edifici e degli spazi pubblici.

“Riduzione dei prelievi e dell’inquinamento, del rischio verso le persone e le infrastrutture, recupero delle acque, della permeabilità del suolo, degli ecosistemi e riciclo nei processi, nelle costruzioni edili – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Questi alcuni dei temi affrontati nella IV edizione del Forum Acqua, per una sua gestione sostenibile e responsabile. Alla Vigilia della COP27 e in un anno che sarà ricordato tra più caldi ed aridi di sempre per effetto della crisi climatica, apriamo ancora un dibattito con i vari protagonisti dei diversi settori, condividendo esperienze, progettualità e investimenti, cercando di delineare una strategia per la transizione ecologica sul tema acqua, rendendo sempre più sostenibile la nostra impronta idrica sulla Terra”.

“Per i gestori del servizio idrico integrato – spiega il vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo – il tema della salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali viene affrontato in ottica di gestione circolare e resiliente. Tuttavia, è fondamentale agire in una logica integrata che, oltre alla maggiore efficienza delle infrastrutture idriche e della gestione degli usi idropotabili, intervenga sui diversi utilizzi della risorsa e sulla razionalizzazione dell’intero ciclo di vita dell’acqua, anche nella sua impronta ‘invisibile’. In analogia ad esperienze già mature nel settore energetico come, ad esempio, quella dei ‘certificati bianchi’, sarebbe auspicabile l’adozione di meccanismi incentivanti come i ‘certificati blu’, che potrebbero supportare e favorire politiche di risparmio, riuso e riutilizzo dell’acqua”.

Le proposte. Il cambio di rotta da attualizzare secondo il cigno verde si concretizza con una serie d’azioni. A partire dall’utilizzo dell’impronta idrica, raccontando al consumatore, tramite un’etichetta posta sui prodotti, l’impatto che questo ha sulle risorse idriche, indirizzandolo verso consumi più consapevoli. Utile anche inserire tra le norme richieste dai CAM la Water Footprint, soprattutto nell’ambito dell’acquisto di prodotti, contribuendo a tenere sotto controllo gli impatti idrici. Necessario poi pianificare gli usi dell’acqua arrivando ad avere una visione d’insieme sull’impatto che, la “somma” delle attività, genera in un territorio. Per quanto riguarda l’uso potabile agire su prelievi e consumi, riducendo le perdite degli acquedotti e dando priorità alla rete di distribuzione cittadina. A livello urbanistico occorre una riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani, promuovendo il recupero e riutilizzo dell’acqua in tutti gli interventi edilizi, diffondendo i principi di efficienza idrica degli edifici, lavorando sull’adeguamento degli impianti esistenti implementando il risparmio idrico. Diffondere il ricorso ai Regolamenti Edilizi comunali che indirizzano verso il risparmio idrico, il recupero delle acque meteoriche e/o di quelle grigie. Completare la rete fognaria e realizzare interventi volti alla separazione delle acque reflue civili da quelle industriali e di prima pioggia. A livello industriale occorre ridurre i consumi di acqua “nuova”, progettare impianti e processi che minimizzino l’utilizzo di acqua, monitorare per individuare perdite e sistemarle, rendere per le fabbriche obbligatorio il calcolo dell’impronta idrica e pubblici i bilanci di massa rispetto all’acqua utilizzata e scaricata, oltre i dati relativi alla sua qualità. Completare la rete di depurazione, ancora oggi incompleta e riqualificare gli impianti di depurazione esistenti, spesso inefficienti, sottodimensionati e in difficoltà, e costruire gli impianti nuovi. Infine, innovare il sistema agroalimentare italiano con finanziamenti fortemente orientati a favorire il minor consumo di acqua, la diffusione di colture e sistemi produttivi meno “idroesigenti”, misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei suoli agrari e della loro capacità di trattenere l’acqua e a contenere i consumi irrigui entro la soglia dei 2.500 metri cubi ettaro anno.

 

[1] Elaborazione da dati ISPRA Annuario dati ambientali 2020, marzo 2021

[2] Water Management Report 2017 – Energy % Strategy Group, Politecnico di Milano