La top ten delle buone pratiche di Nevediversa 2024 di Legambiente

Dalle Alpi agli Appennini ecco come si può innovare l’offerta turistica nel segno di un turismo montano invernale sostenibile.

Tra gli esempi si va dal modello Valle Maira alle Dolomiti Paganella Future Lab, dalla cooperativa di comunità Valle dei Cavalieri nel parco nazionale dell’appennino tosco emiliano all’associazione Cammina Sila, in Calabria, nel cuore dell’altopiano silano al comprensorio Broncu Spina (NU) agli esempi austrici e svizzeri.

 Legambiente: “La crisi climatica in atto ci impone di ripensare il turismo invernale montano.

In montagna nevica sempre meno, aumentano costi e consumi per innevare artificialmente gli oltre 5mila km di piste da sci e il Ministero del Turismo stanzia 148 milioni per finanziare gli impianti di risalita contro i 4 milioni messi a disposizione per la promozione dell’ecoturismo.

 Servono maggiori risorse economiche per il turismo sostenibile, stanziare le risorse per il PNACC e replicare quelle buone pratiche promotrici di un nuovo futuro per il turismo invernale ad alta quota”.

In montagna, complice l’accelerata della crisi climatica, nevica sempre di meno. Il risultato è che gli oltre 5mila km di piste da sci italiane – 5.771 quelli sulle Alpi italiane e 710 km quelli sugli Appennini – vivono soprattutto grazie all’innevamento artificiale, una pratica insostenibile che comporta ingenti consumi d’acqua, d’energia e di suolo in territori di pregio naturalistico. Eppure, ripensare il turismo montano invernale in chiave sostenibile, andando oltre la monocultura dello sci in pista, è qualcosa di possibile da realizzare. Lo dimostra la top ten delle dieci best pratices che Legambiente, in vista della giornata mondiale della neve, presenta e racconta oggi con un’anteprima del report Nevediversa 2024 in uscita in primavera. Dieci storie che arrivano dalle Alpi, incluse quelle svizzere e austriache, e dalla dorsale appenninica e che ci parlano di un nuovo modello di abitare e vivere la montagna nel pieno dell’era dei cambiamenti climatici e dove il filo conduttore è la capacità di innovare l’offerta turistica, diversificandone le attività in armonia con la valorizzazione dell’ambiente naturale, delle professionalità e del patrimonio storico e architettonico di quei luoghi.

Dal cuore del Piemonte con il modello Valle Maira – regina del turismo slow in piena sintonia con la natura tra sci escursionismo, sci alpinismo e di fondo, ciaspolate…. E grazie anche al prezioso ruolo del consorzio turistico Valle Maira – per passare al piccolo comune di Balme, in provincia di Torino, che dopo aver vietato la pratica dell’eliski guarda oltre partecipando a progetti come “Beyond the snow”, “Oltre la neve”, un Alpin Space rivolto alle località che dovranno reinventarsi per la carenza di precipitazioni nevose. Da Naturavalp, associazione valdostana promotrice di un turismo responsabile e sostenibile riunendo agricoltori, allevatori, artigiani e operatori turistici per passare alle Dolomiti Paganella Future Lab, una piattaforma in continua evoluzione, unica nel suo genere in Italia, nata per definire una visione di sviluppo turistico bilanciato di lungo periodo assieme alla comunità, basato su vivibilità e qualità di vita di residenti e ospiti. In Friuli-Venezia Giulia, a Malborghetto-Valbruna, si punta su una rete di escursioni e percorsi, tra cui i 19 km di piste di fondo che si sviluppano dalla piana di Valbruna fino all’alta Val Saisera. Scendendo lungo la Penisola, tra le altre buone pratiche si va dalla cooperativa di comunità Valle dei Cavalieri – Succiso (RE) nel parco nazionale dell’appennino tosco emiliano all’associazione Cammina Sila, in Calabria, nata per far conoscere e riscoprire il territorio silano attraverso le attività outdoor come ciaspole, trekking, mountain bike, sci di fondo, canoa e tutte quelle attività eco-sostenibili per arrivare al Comprensorio Broncu Spina in Sardegna in provincia di Nuoro. Qui, anche se l’impianto sciistico non è più attivo, da tempo visitatoti e turisti sono disposti a fare un po’ di strada a piedi avventurandosi in tour esperienziali lungo i pendii accompagnati da una guida.

Incluse tra le dieci best practices ci sono anche due esempi d’oltralpe, in Austria a Dobratsch, la stazione sciistica a zero impianti. Qui dal 2001 l’attività è stata interrotta perché non era più conveniente mantenere in piedi gli impianti di risalita, i costi di gestione erano diventati troppo alti. Gli impianti sono stati smontati e venduti, e si sono intensificate le attività di turismo dolce. Dalla Svizzera arriva una storia simile con alcune stazioni che si sono reinventate come Monte Tamaro e Cardada /Cimetta. Il monte Tamaro è stato tra i primi ad abbandonare lo sci e a reinventarsi. La piccola stazione del Canton Ticino, costruita negli anni ‘70 su un versante assolato dell’alpe Foppa, nel 20O3 ha deciso di rinunciare al tradizionale turismo invernale. È stata potenziata la rete dei sentieri per escursioni ed è stata aperta tutto l’anno una stazione termale.

Esempi che, nel complesso, per Legambiente fanno del turismo dolce e sostenibile sia una leva preziosa per l’offerta turistica montana e per le comunità locali sia un modello da replicare e una risposta concreta alla crisi climatica e alla monocultura dello sci di pista.

Proposte Legambiente: Di fronte a questo quadro, l’associazione ambientalista torna a chiedere stanziamenti economici più consistenti per il turismo sostenibile montano troppo spesso sottovalutato e sottostimato. Ad oggi, sottolinea l’associazione ambientalista, il Ministero del Turismo ha stanziato nel 2023 148 milioni di euro destinati alle società proprietarie degli impianti di risalita per ammodernamento, sicurezza e dismissioni contro i quattro milioni di euro messi a disposizione per la promozione dell’ecoturismo. Una sproporzione inaudita tra i due settori, se pensiamo che l’innevamento artificiale è una pratica non sostenibile. Serve un cambio un passo e una decisa volontà politica che punti e investa davvero sul turismo sostenibile a partire da quello montano. È inoltre fondamentale che vengano stanziate al più presto le risorse per attuare al PNACC per renderlo effettivamente operativo e replicare le buone pratiche.

“Ci lasciamo alle spalle un 2023 che è stato l’anno più caldo sulla Terra nell’ultimo secolo e mezzo. Un dato allarmante e preoccupante – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente perché la crisi climatica con l’aumento delle temperature sta allo stesso tempo ridisegnando i profili delle nostre montagne con, ad esempio, un’accelerata della fusione dei ghiacciai e dall’altra parte la necessità di sparare in quota neve artificiale per sopperire alla riduzione delle precipitazioni nevose e consentire agli impianti di risalita di operare a pieno regime. L’Italia, stando alle ultime stime disponibili, è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente. È evidente che l’innevamento artificiale è una pratica che causa un grande impatto per consumi idrici e di suolo in aree spesso delicate come ecosistemi, ed è una pratica anche molto dispendiosa che vede spesso l’impiego di fondi pubblici. Per questo da anni con il report Nevediversa, oltre a denunciare il tema dell’innevamento artificiale, portiamo in primo piano quegli esempi virtuosi territoriali, frutto di un cambiamento culturale e sociale, che sono preziosi laboratori di innovazione e sperimentazione a cielo aperto e che indicano la giusta strada da percorrere rispondendo così alla crisi climatica. Ma le comunità locali e l’ecoturismo devono anche essere sostenuti con maggiori stanziamenti economici”.

“Anche per l’Italia – aggiunge Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente – le prospettive degli anni a venire sono quelle di avere meno neve in quota, tenendo presente che quando c’è è una neve che dura poco. Se le precipitazioni nevose non sono più la normalità dei nostri inverni allora dobbiamo ripensare complessivamente il nostro rapporto con la neve, beneficiarne quando arriva e non pretenderla a tutti i costi quando non c’è. Bisogna andare oltre, lavorare sulla diversificazione dell’attività turistica sostenibile, su nuove forme di adattamento, perchè il Paese paga già lo scotto di un accanimento terapeutico senza tener conto della crisi climatica che avanza e degli oltre 200 impianti dismessi e abbandonati che abbiamo censito nel 2023 sulle montagne italiane”.

 Montagna sempre più calda: Legambiente ricorda che nel 2023, nell’ambito del report Nevediversa, ha censito ad alta quota ben 249 impianti dismessi (12 in più rispetto al 2022), 138 quelli temporaneamente chiusi e 181 quelli sottoposti ad accanimento terapeutico, ossia che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico.  Dall’altra parta la montagna si conferma una delle sentinelle della crisi climatica, e lo zero termico registrato nel 2023 più volte in quota è un altro un serio campanello d’allarme.

Per quanto riguarda la stagione invernale, in Italia l’inverno 2023/24 si sta caratterizzando come l’ennesimo periodo avaro di neve. Secondo la fondazione Cima a metà dicembre 2023, nonostante un inizio novembre con buone precipitazioni nevose, si è rilevato un deficit di precipitazioni nevose di ben del 44%. Con il mese di gennaio 2024 è arrivata una boccata di ossigeno per le località sciistiche grazie alla perturbazione di inizio anno, ma Legambiente ricorda che è difficile ipotizzarne la durata poiché per il resto della stagione ci si aspetta un clima mite. Infatti, il Centro Europeo Meteo prevede fino a +3°C al di sopra della media su buona parte dell’Europa tra gennaio e febbraio.