È trascorso un anno dall’invasione russa in Ucraina. Quella mattina di un anno fa, l’Europa si risvegliò con l’angoscia di una guerra assurda alle porte, frutto di una violazione di ogni diritto internazionale. In questi 365 giorni abbiamo assistito a un susseguirsi di tragedie e violenze che non accennano a diminuire.
“Una sconfitta chiamata guerra”, titolammo un anno fa quando esprimemmo la nostra vicinanza alla popolazione ucraina, auspicando un immediato stop all’aggressione russa e un rapido ritorno alla pace. Purtroppo, così non è stato. Questa sconfitta sta continuando a stravolgere gli equilibri del Pianeta, oltre ad essere la causa di un insensato e atroce tributo umano. Donne, bambini e uomini strappati alle loro vite a causa della folle politica di espansione di Putin e alle timide risposte diplomatiche delle altre potenze mondiali, Unione europea e Stati Uniti in primis.
Un anno dopo quella sconfitta è ancora sotto gli occhi di tutti.
E non va dimenticato che dopo la tragedia umanitaria ci sarà quella ambientale, come abbiamo sottolineato nel nostro ultimo speciale “La guerra è tossica” pubblicato su La Nuova Ecologia, per denunciare i danni alla vita umana e all’ambiente provocati dai conflitti. Perché in Ucraina le emissioni tossiche sono alle stelle; aria, acqua e terra sono state avvelenate, mentre l’incubo del nucleare è dietro l’angolo.
È vero, questo conflitto non è unicamente e direttamente imputabile a ragioni di carattere energetico. Purtroppo, però l’Europa ha da subito mostrato una posizione scomoda, caratterizzata da un costante bisogno di gas fossile e schiacciata tra il mercato russo e quello statunitense, che non ci ha permesso di esercitare quel ruolo di mediazione e dialogo che avremmo potuto e dovuto giocare da subito. E il ricatto del gas ha accelerato anche una crisi economica che stanno pagando a caro prezzo tutti i cittadini e le imprese.
Eppure, non diciamo nulla di nuovo affermando che la crisi climatica e l’urgenza di abbandonare il modello energetico prevalentemente incentrato sulle fonti fossili sono alla base di gran parte dei conflitti armati, nuovi e storici, in più parti del Pianeta. Continuare a investire sulle fonti fossili, oltre ad aggravare l’attuale crisi climatica, ha creato delle dipendenze troppo forti da paesi la cui democrazia è a rischio o un concetto discutibile, e la Russia ne è un esempio. Così come lo sono anche gli altri paesi “fossili” da cui ci stiamo approvvigionando sempre di più, come l’Algeria, la Libia, l’Egitto o il Qatar.
Lo abbiamo detto da sempre e oggi forse qualcuno in più ci sta dando ragione, perché con una maggiore capacità di autoprodurre la nostra energia tramite fonti rinnovabili, probabilmente avremmo uno strumento in più per fare pressione sulla Russia e tutelare la popolazione ucraina e tutte le altre che sono vittime di conflitti e ingiustizie.
Oggi più che mai occorre avere responsabilmente la consapevolezza che lavorare per un modello di sviluppo sostenibile, fatto di tanti impianti alimentati a fonti rinnovabili, significa lavorare per relazioni internazionali e nazionali basate su pace e dialogo.
Noi non ci stancheremo di costruire la pace, anche e soprattutto attraverso le nostre azioni nazionali e locali per promuovere un sistema energetico distribuito, fatto di innovazione, efficienza e di milioni di piccoli, medi e grandi impianti “fossil free”. Continueremo a chiedere un’azione coordinata e incisiva di tutta l’Europea per attuare una pacifica transizione ecologica in tutti i 27 paesi membri.
Lo abbiamo ribadito anche lo scorso fine settimana in tutta Italia, scendendo in piazza insieme alla Rete Pace e Disarmo per chiedere il cessate il fuoco, il dialogo e i negoziati di pace per un’Europa sicura e pacifica per tutti e indipendente sotto il punto di vista energetico.