Il tempo del coraggio, relazione introduttiva Stefano Ciafani

 IL TEMPO DEL CORAGGIO
XI CONGRESSO NAZIONALE DI LEGAMBIENTE
NAPOLI, 22-24 NOVEMBRE 2019

 

Care delegate e delegati, care socie e soci, Egregio Presidente Roberto Fico, Ministro Sergio Costa, cari ospiti e compagni di viaggio, buon pomeriggio e benvenuti all’XI Congresso nazionale di Legambiente.

Siamo arrivati all’ultimo fine settimana di una esaltante stagione congressuale che ha visto tutta l’associazione, a tutti i livelli, in ogni angolo del Paese, discutere, riflettere, condividere ed elaborare pensieri sulle cose fatte, sulle conquiste ottenute negli ultimi 4 anni, sulle strategie da adottare per le nuove sfide dei prossimi 4. È stata una lunga maratona, iniziata esattamente un anno fa all’Assemblea nazionale dei circoli di Grosseto, ma ce l’abbiamo fatta.

Lasciatemi iniziare dai ringraziamenti a chi ha reso possibile tutto questo.

Innanzitutto vi chiedo di inviare tutti insieme un fortissimo abbraccio a Giorgio Zampetti, il nostro direttore generale che è stato decisivo e straordinario in questi 18 mesi da quando siamo stati eletti. Giorgio, come succede anche alla Ferrari più scintillante, sarà fermo ai box per ancora qualche settimana per ripartire con ancora più grinta e abnegazione, gentilezza e fermezza, testa e cuore, che lo rendono un dirigente imprescindibile per la nostra Associazione. Per me anche un fratello minore, con cui condivido la passione per la musica, oltre che per l’associazione. Auguri di pronta guarigione Giorgio, ti aspettiamo prestissimo!

Uno speciale ringraziamento va ai nostri volontari, presidenti di circolo, vertici regionali che hanno alimentato dal territorio la discussione congressuale degli ultimi mesi; a chi è venuto o verrà a Napoli, da ogni parte d’Italia, magari prendendosi le ferie; a Mariateresa Imparato e Francesco Ferro e alla Legambiente in Campania che ospita questa tre giorni; allo staff della Direzione nazionale dell’associazione che ha organizzato in modo impeccabile tutti gli appuntamenti precongressuali degli ultimi 2 mesi fino a questa tre giorni finale. Permettetemi solo di citare una persona su tutti, Rita Tiberi, la regina assoluta e la certezza totale nell’organizzazione dei grandi eventi associativi degli ultimi 30 anni che dopo questo Congresso avrà tutto il tempo libero, più che meritato, per viaggiare tra la natia L’Aquila e la sua amata India. Cara Rita, il tuo impegno, la tua disponibilità, generosità, passione e caparbietà nel raggiungere gli obiettivi sono un esempio per tutti noi, a partire dal sottoscritto!

Per il nostro Congresso nazionale abbiamo deciso, dopo quello di Bari nel 2011, di tornare in quel Sud del Paese che combatte contro gli stereotipi. E questo luogo, al confine tra Napoli e Portici, racconta molto bene di quel Mezzogiorno che esiste e resiste.

Ringrazio il sindaco di Napoli Luigi De Magistris per il lavoro fatto per la rinascita culturale e sociale della città e per la collaborazione profusa nell’organizzare sia il nostro Forum sull’agroecologia di metà ottobre che questo congresso nazionale, che abbiamo costruito esattamente come glielo avevamo preannunciato un anno fa durante il nostro primo incontro nella sua stanza a palazzo San Giacomo.

Ringrazio anche Vincenzo Cuomo, sindaco di Portici, con cui abbiamo fatto tante cose insieme (il congresso di Legambiente Campania nel 2011 fu organizzato nel suo Comune anche per la raccolta differenziata record) e con cui continuiamo a lavorare (come per il progetto europeo Air Heritage).

Per questo nostro Congresso nazionale abbiamo voluto esagerare, decidendo di organizzarlo per la prima volta nella storia di Legambiente in un Museo. Ci siamo riusciti grazie alla collaborazione della Fondazione FS che ci ha messo nelle condizioni di poter usufruire di un posto straordinario che rappresenta bene la storica leadership industriale del nostro Paese, l’abilità di coniugare tradizione e innovazione, come dimostrano le bellissime locomotive che circondano la platea congressuale, ma anche la capacità della migliore intelligenza umana di poter superare ostacoli ritenuti per certi versi invalicabili.

Di questa capacità abbiamo ancora bisogno oggi. Viviamo in un pianeta la cui febbre continua a salire, con leader mondiali come Trump e Bolsonaro che negano la crisi climatica, sostenuti dalle peggiori lobby, ma anche con paesi che, pur tra mille contraddizioni, investono sul futuro come la Cina, che da principale emettitore in atmosfera di gas serra è diventata anche la potenza mondiale che destina più risorse allo sviluppo di tecnologie pulite, e con l’Europa che con il Green Deal vuole recuperare i ritardi rispetto al primato di una volta sul fronte della transizione ecologica dell’economia.

Quattro anni fa al congresso nazionale di Milano festeggiavamo la chiusura dell’accordo di Parigi per la lotta all’emergenza climatica. Le ultime serie storiche sull’innalzamento della temperatura media terrestre, l’evidenza dello scioglimento dei ghiacciai, non solo ai Poli ma anche sulle nostre Alpi e Appennini, l’inarrestabile aumento della frequenza degli eventi estremi (il recente disastro di Venezia e Matera sono solo gli ultimi due esempi più eclatanti) confermano che quell’accordo, anche se storico, non è più sufficiente. Bisogna allungare il passo immediatamente, lasciando le fossili dove sono, fermando i sussidi ambientalmente dannosi e investendo sulle tecnologie pulite ampiamente disponibili sul mercato.

La strada da seguire è chiara ed è quella tracciata da Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì secondo cui «la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas – deve essere sostituita progressivamente e senza indugio». E come ha ricordato ai vertici delle multinazionali energetiche nel Simposio organizzato in Vaticano nel giugno 2018 «destano preoccupazione anche le continue esplorazioni per nuove riserve di combustibile fossile, allorquando l’Accordo di Parigi consiglia chiaramente di mantenere nel sottosuolo la maggior parte del carburante fossile».

Al congresso del 2015 festeggiavamo anche l’approvazione della legge sugli ecoreati, la prima di una lunga serie (dal collegato ambientale alla legge che ha istituito il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, dalla legge sui piccoli comuni ai bandi su alcuni prodotti plastici per combattere il marine litter) che ha reso la scorsa legislatura la più prolifica di leggi ambientali di iniziativa parlamentare, nonostante alcune pessime pagine come l’approvazione del decreto Sblocca Italia o il boicottaggio del referendum sulle trivellazioni da parte dell’allora governo Renzi. Auspicavamo che la legislatura successiva, quella ancora in corso, proseguisse quella serie incredibile. Così, purtroppo, non è stato.

Le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno aperto una stagione politica durata 14 lunghissimi mesi, disastrosa sotto tutti i punti di vista. Nonostante la nomina a ministro dell’Ambiente di Sergio Costa, un amico di lunga data della nostra associazione, le politiche ambientali sono state messe all’angolo. Il governo Conte 1 ha inanellato una serie di norme inaccettabili, come il condono per la ricostruzione post terremoto a Ischia e nel Centro Italia,  la legge sblocca cantieri che ha allargato le maglie delle norme anticorruzione e ha rischiato di bloccare gli impianti di riciclo dei rifiuti attivi in Italia, i due disumani e liberticidi decreti sicurezza ancora oggi incredibilmente in vigore, in un vero e proprio clima di guerra mediatica contro nemici inventati (i migranti e le Ong che salvano vite in mare) con l’istituzionalizzazione del clima di odio e intolleranza praticato quotidianamente dall’allora ministro dell’interno Matteo Salvini.

Ne approfitto per ringraziare di cuore il presidente della Repubblica Sergio Mattarella perché tra i tanti suoi meriti non posso non ricordare quello di aver nominato senatrice a vita quella santa donna di Liliana Segre, a cui va l’abbraccio caloroso di tutta Legambiente, e ringrazio anche il presidente della Camera dei deputati Roberto Fico – che ci ha onorato della sua presenza e del suo intervento al nostro Congresso – perché sono state due voci istituzionali autorevoli in grado di dare forza e coraggio a chi, come noi, ha continuato ad alimentare una contronarrazione sulla tolleranza e sulla solidarietà che hanno sempre contraddistinto il nostro Paese, a partire da quella praticata dai quasi 7 milioni di cittadini che In Italia fanno volontariato.

Sono stati 14 mesi terribili, per i danni procurati alla coesione sociale, sempre più evidenti, come dimostrano i continui casi di violenza raccontati dalle cronache giornalistiche.

Sono stati 14 mesi in cui abbiamo assistito anche ad un inabissamento delle politiche governative contro le mafie, nonostante il lavoro da parte delle forze di polizia e della magistratura. Un problema per certi versi cronico che Don Luigi Ciotti ricorda ogni giorno, non solo nelle oceaniche e bellissime manifestazioni del 21 marzo in memoria delle vittime innocenti delle mafie a cui non facciamo mai mancare il nostro apporto e supporto (come faremo anche a Palermo nel 2020).

Sono stati 14 mesi in cui il Paese è stato continuamente disorientato da messaggi distorti, come un magnete fa quando si avvicina alla bussola. È vero, l’Italia è piena di migranti che vanno fermati in qualche modo. Ma non quelli che fuggono disperati dai loro paesi per trovare migliori condizioni di vita in Europa, per andar via da luoghi resi sempre più invivibili a causa dei cambiamenti climatici, per fuggire da tensioni e conflitti spesso causati dai paesi occidentali per accaparrarsi petrolio, carbone o gas, o le materie prime, come le terre rare, per far funzionare la nostra tecnologia.

L’Italia è piena di migranti come i nostri migliori cervelli che ogni anno abbandonano l’Italia o come quelli che dal Sud del Paese si spostano al Centro Nord per studiare, trovare un lavoro o per curarsi: una migrazione che spopola territori ampi del Meridione, come ha ricordato ancora una volta recentemente lo Svimez (due milioni di persone dal 2000 ad oggi hanno lasciato il Sud, la metà giovani, il 20% ha un titolo universitario) e li condanna ad un invecchiamento ancor più veloce di quello a cui va incontro il resto del Paese, che nessun governo ha voluto affrontare con un’adeguata politica di sviluppo delle opportunità legate al turismo, alla cultura, alle opere pubbliche che servono davvero, all’economia circolare e alla transizione energetica su cui il Sud può dare un grandissimo contributo. Diventa sempre più urgente su questo fronte un cambio di rotta delle politiche governative per fermare questa emorragia di energie e intelligenze del meridione d’Italia.

Lo stesso si può dire delle aree interne e di quelle marginali: la legge sui piccoli comuni non può che essere solo il primo passo di una politica più organica che ad oggi non si è ancora vista, ma che urge sempre di più.

Sono stati 14 mesi in cui tra i nemici da combattere c’è stata addirittura l’Europa che, nonostante gli errori, anche gravi, fatti ad esempio sulle politiche su immigrazione o agricoltura, tante volte ha rimesso sulla giusta carreggiata l’Italia, grazie alle procedure d’infrazione e alle multe che ad esempio ci hanno obbligato a chiudere finalmente la discarica di Malagrotta a Roma nel 2013 o a costruire il depuratore a Milano nel 2003.

E allora, con buona pace dei sovranisti, diciamo “lunga vita all’Europa”, con l’augurio che ci aiuti nel più breve tempo possibile a chiudere il ciclo dei rifiuti della Campania con i necessari impianti di compostaggio e digestione anaerobica, a bonificare le centinaia di discariche abusive disseminate sul territorio nazionale, a realizzare i depuratori che mancano soprattutto nel Centro Sud, a sanare la mal’aria che respirano 20 milioni di persone in Italia e che causa 60mila morti premature ogni anno.

Quell’Europa che con la nuova presidenza Von Der Leyen della Commissione europea ha deciso di puntare sul Green Deal affidando questa delega al vicepresidente esecutivo Timmermans e su un ruolo importante del nostro Paese, grazie ovviamente al cambio di Governo, affidando all’Italia e a Paolo Gentiloni la delega agli Affari economici, che ha già annunciato lo stanziamento di 1.000 miliardi di euro per le politiche ambientali e climatiche.

Una parte importante di queste risorse europee deve arrivare nel nostro Paese per finanziare il Green New Deal made in Italy di cui tanto si è parlato da quando è operativo il Governo Conte 2 e di cui fino ad oggi non si è ancora vista traccia. Se Green New Deal italiano sarà, non potrà che essere un edificio da costruire con muri perimetrali realizzati rispettivamente e sinergicamente dal Ministero dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico, delle Infrastrutture e dei Trasporti, delle Politiche Agricole, dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, su solide fondamenta realizzate dal Ministero dell’Economia e Finanze. Questo finora non è accaduto, neanche nella legge di bilancio in discussione come dimostra il surreale dibattito della plastic tax, una norma sacrosanta che però deve essere migliorata estendendola a tutti i manufatti e non solo agli imballaggi (che già pagano il contributo Conai per finanziare le raccolte differenziate) e prevedendo l’esenzione anche per gli oggetti realizzati in plastica riciclata, non solo per i materiali compostabili. E se davvero si vuole mettere in campo una nuova politica per far decollare la rivoluzione energetica, non basta far ripartire i fondamentali incentivi alle rinnovabili e all’efficienza. È arrivato il momento di permettere ai cittadini, agli enti pubblici e alle imprese di autoprodursi l’energia come prevede anche l’Europa con la sua direttiva.

In Parlamento l’attuale maggioranza deve ripartire con la serie storica della scorsa legislatura quando il Pd dai banchi della maggioranza, il M5s e Sel/Si da quelli di opposizione, in modo trasversale hanno approvato tutte quelle norme ambientali che hanno permesso di far avanzare il nostro Paese sulla lotta alle ecomafie e agli ecocriminali, sull’economia circolare, sulla green economy, sulla costituzione del sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, sulla lotta all’inquinamento da plastica non gestita correttamente.

E così come nel 2006 grazie a Francesco Ferrante siamo riusciti a far approvare il bando sui sacchetti di plastica per l’asporto merci e il conto energia per lo sviluppo delle rinnovabili, così come tra il 2015 e il 2017 grazie ad Ermete Realacci si è arrivati alla legge sugli ecoreati, a quella sui piccoli comuni, al bando sui cotton fioc e sulle microplastiche per i cosmetici da risciacquo (Roberto Della Seta non ha fatto in tempo visto che la battaglia contro l’inquinamento dell’Ilva gli è costata la ricandidatura), allo stesso modo speriamo che il 2020 sia l’anno della legge a prima firma Rossella Muroni e Sergio Costa sul fishing for litter per permettere ai pescatori di fare gli spazzini del mare, pratica ancora oggi vietata.

È arrivato il momento di buttare via quel magnete che disorienta la bussola del Paese e di cominciare una lotta senza quartiere contro i ladri di futuro, come le società petrolifere che continuano a estrarre greggio dai fondali marini e dal sottosuolo, a partire da Edison ed Eni, azienda sotto processo per disastro ambientale in Val d’Agri (grazie ad un nostro esposto in cui abbiamo chiesto l’applicazione della legge 68 sugli ecoreati che ha portato all’arresto dell’allora responsabile del Centro oli di Viggiano). Quella stessa Eni proprietaria di un pozzo petrolifero a terra a Ragusa che ha dato luogo ad una importante perdita di petrolio nella scorsa primavera, in un inquietante silenzio mediatico nazionale, a parte poche eccezioni, e che spaccia per bioraffinerie impianti che lavorano olio di palma importato dal sud est asiatico.

Ci sono gli inquinatori seriali che nelle aree industriali, piccole e grandi, continuano a produrre senza rispettare la legge; gli ecocriminali che trafficano illegalmente ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti, anche pericolosi; gli abusivi che continuano a sfregiare il territorio con ecomostri realizzati in modo illegale, anche in luoghi pericolosi per la loro stessa vita; i proprietari delle discariche che inquinano l’ambiente e compromettono lo sviluppo dell’economia circolare; i cavatori dei materiali per l’edilizia o le società che imbottigliano acqua minerale, pagando canoni di concessione ridicoli, depredando il paesaggio con ferite non sanate gli uni, inquinando l’ambiente con trasporto su gomma e rifiuti plastici che non finiscono nelle filiere del riciclo gli altri.

Questi sono i veri nemici del cambiamento da combattere in questo Paese. Non sono i corpi intermedi, perché quando funzionano al meglio (e non sempre questo avviene) sono uno strumento straordinario per il cambiamento e l’ammodernamento dell’Italia. Stiamo preparando il libro sui 4 decenni di storia della nostra associazione che presenteremo il 20 maggio 2020, giorno del nostro 40esimo compleanno, dove descriveremo tutte le conquiste ottenute da Legambiente dal 1980 ad oggi. Vi posso solo anticipare che si tratta di un bell’esercizio grazie al quale, vi assicuro, renderemo bene l’idea su cosa voglia dire l’importanza di un corpo intermedio che funziona e che opera per l’interesse collettivo e il bene comune.

I nemici da combattere non sono le Ong come sostiene una parte della politica nazionale negli ultimi anni. Una narrazione che sta sortendo effetti nefasti sulla credibilità del Terzo settore in Italia, come dimostra l’andamento dei sondaggi, e su cui è fondamentale mettere in campo un racconto condiviso che ristabilisca la verità sull’utilità e l’imprescindibilità del lavoro quotidiano dell’associazionismo per rendere più sano, giusto e pulito il nostro Paese.

A tal proposito non possiamo non ringraziare il presidente del Senato Elisabetta Casellati, non tanto per aver premiato la nostra associazione nella prima edizione del Premio al Volontariato per la sezione ambiente, di cui siamo a dir poco onorati e orgogliosi, ma per aver pensato di <<valorizzare le eccellenze italiane>> del no profit, in assoluta controtendenza rispetto a quando detto da alti rappresentanti istituzionali fino a pochi mesi fa. Chi lavora per gli altri, per gli interessi collettivi, per il bene comune, chi salva anche solo una vita, in mare come sulla terraferma, va solo ringraziato a mani giunte, non accusato o criminalizzato.

L’Italia è ad un bivio. Per imboccare la strada giusta serve armarsi di forza e di coraggio.

Come ricorda il titolo del nostro Congresso, è il tempo del coraggio per chi governa a livello nazionale per sbloccare ad esempio solo le opere pubbliche che servono al Green New Deal italiano, puntando su interventi per la depurazione di cui sono sprovvisti il 25% degli abitanti del nostro Paese, per la riduzione del rischio idrogeologico dove vivono 7 milioni di persone, per la mobilità sostenibile nelle grandi aree urbane, per la realizzazione di impianti per produrre compost e biometano nel Centro Sud e di nuovi impianti a fonti rinnovabili distribuiti sul territorio.

Il Green New Deal non potrà non passare dalle città, dalla loro rigenerazione attraverso politiche che puntino a far muovere persone e merci in modo più sostenibile, anche per ripulire l’aria che si respira, a farle diventare hot spots dell’economia circolare e della transizione energetica, a farle diventare luoghi di giustizia ambientale e sociale, lavorando sulle periferie facendole diventare il centro dell’innovazione ambientale e culturale e del riscatto civile.

Oggi è la giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole e domani sarà il 39esimo anniversario del catastrofico terremoto in Irpinia. Come ci ricorda ogni anno Vanessa Pallucchi con il nostro Rapporto Ecosistema scuola serve rendere più sicuri gli edifici dove vanno a scuola i nostri figli e nipoti, ma su questo il Paese si è sempre perso in inefficienze, incapacità e inadeguatezze che dobbiamo superare una volta per tutte.

La tragedia del terremoto dell’80, come tutte le altre fino all’ultima del centro Italia, passando per quella de L’Aquila, ci ricordano come il nostro territorio è naturalmente pericoloso e non possiamo più permetterci ritardi, inadempienze e omissioni nella ricostruzione post sisma o nell’adeguamento antisismico degli edifici esistenti. Territori dilaniati dalle scosse sismiche su cui non si devono più ripetere gli errori del passato, con illegalità anche importanti, sperpero di denaro pubblico e ricostruzioni lente che hanno desertificato importanti porzioni del territorio nazionale, come il cratere del Centro Italia su cui la nostra associazione ha lavorato e sta lavorando anche per aiutare le imprese di giovani imprenditori e allevatori, donne e uomini, e per non farli andare via, con i progetti “La rinascita ha il cuore giovane”, “Alleva la speranza” e “ReStartApp”.

È il tempo del coraggio per chi governa con passione il territorio in cui vive, come fanno quei pochi sindaci che abbattono le costruzioni abusive restituendo bellezza e legalità al territorio, rischiando la vita e l’incarico istituzionale, o che implementano una efficace raccolta differenziata con percentuali superiori agli obiettivi di legge, come è riuscito a fare il nostro Mimmo Fontana quando è stato Assessore all’ambiente ad Agrigento. O come ha fatto in questa regione il nostro amico Angelo Vassallo, un coraggioso amministratore che Legambiente ha osannato da vivo per le sue iniziative di valorizzazione del territorio, la cui morte a distanza di anni è ancora avvolta da un insopportabile alone di mistero e per la quale chiediamo verità e giustizia. E lo stesso chiediamo per il capitano di fregata Natale de Grazia, straordinario investigatore nelle indagini sulle navi dei veleni, e per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio per il loro coraggioso lavoro giornalistico sui traffici di armi e rifiuti in Somalia.

È il tempo del coraggio per le imprese italiane, come dimostrano quelle eccellenze che hanno realizzato in Italia impianti unici al mondo, come quello che produce il butandiolo da fonte rinnovabile ad Adria (Ro) o quello che permette di riciclare i pannolini usa e getta a Spresiano (Tv), o che hanno organizzato filiere di economia circolare su rifiuti da imballaggio, pneumatici fuori uso, oli usati e batterie al piombo con risultati impensabili fino a 20 anni fa. Perché l’Italia non è fortunatamente solo il vecchio modo di fare industria, causando problemi ambientali, sanitari e occupazionali, come è stato fino a ieri a Bagnoli con l’Italsider, Casale Monferrato con la Eternit, Cogoleto con la Stoppani, Cengio con l’Acna, o come è ancora oggi a Taranto con l’ex Ilva o a Gela, Augusta, Priolo, Melilli e Milazzo in Sicilia.

Ma soprattutto è il tempo del coraggio per chi le rappresenta perché Confindustria non deve più distinguersi per la battaglia contro l’approvazione della legge che ha inserito i delitti ambientali nel codice penale, spendersi per far realizzare nuovi inceneritori o pozzi petroliferi, osteggiare la tassa sulla plastica, solo per fare alcuni esempi di iniziative che vanno sostanzialmente in direzione opposta a quello che serve al Paese e alle aziende più sane e innovative. La strada da seguire è già tracciata e bene ha fatto la Fondazione Symbola a ribadirla con il manifesto “Un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica”, sottoscritto anche dalla nostra associazione.

È il tempo del coraggio per il sindacato che non deve più manifestare se si approva una moratoria sulle nuove trivellazioni di petrolio e gas come come è successo a Ragusa, Ravenna e in Val d’Agri all’inizio di quest’anno.

È il tempo del coraggio anche per l’ambientalismo italiano. Bisogna continuare a lavorare per far modificare gli stili di vita ai cittadini in chiave sostenibile, sapendo che tutto questo è necessario ma non sufficiente. Per continuare a chiudere centrali a fonti fossili, come sta avvenendo in tutta Italia, servono tanti nuovi parchi eolici, a terra come in mare, tanti nuovi impianti fotovoltaici, a partire da quelli sui tetti, serve anche il solare termodinamico, oltre al potenziamento degli impianti già esistenti, alla realizzazione degli accumuli e delle nuove reti elettriche a servizio del sistema elettrico diffuso.

Lo stesso si può dire di quello che serve per far avanzare l’economia circolare italiana, per chiudere un inceneritore ormai obsoleto, per non aprire una nuova discarica o per evitare l’ampliamento di quelle già esistenti. Ma per fare tutto questo, sui rifiuti urbani, speciali e pericolosi, serve realizzare tanti nuovi impianti, perché per arrivare alla meta di Rifiuti zero a smaltimento, serve realizzare mille nuovi impianti per l’economia circolare.

I nuovi impianti a fonti rinnovabili e quelli per il riciclo e il riuso dei rifiuti devono essere pensati bene, progettati bene, realizzati bene, gestiti bene e controllati bene. Ma vanno fatti, e non osteggiati come fanno in tutta Italia gli stessi che contemporaneamente vogliono chiudere le vecchie centrali a carbone o non vogliono giustamente l’ennesima discarica o l’ennesimo inceneritore.

Per quella che nella nostra campagna di tesseramento abbiamo chiamato la riEvoluzione dell’Italia  è decisivo il nostro ruolo. Le conclusioni degli appunti per il documento congressuale e le piazze tematiche di domani mattina sono centrate sulle nostre 5 priorità di azione per i prossimi 4 anni: la lotta alla crisi climatica e le scelte da adottare per la transizione energetica; la battaglia contro i ladri di futuro, gli inquinatori, le ecomafie e la corruzione; l’alleanza col mondo delle imprese più innovative per la riconversione ecologica e civile dell’economia; il coinvolgimento e il protagonismo dei giovani in associazione; il lavoro nelle periferie d’Italia per riscattare i luoghi delle disuguaglianze. E su questi 5 fronti concentreremo il lavoro dell’associazione per il prossimo futuro, con un’azione congiunta che vedrà il territorio protagonista dei cambiamenti che auspichiamo per il nostro Paese.

Contemporaneamente e in modo trasversale, dovremo promuovere un’azione forte contro la deriva antiscientista che attraversa il Paese. L’ambientalismo italiano deve essere coerente. Non si può applaudire Greta Thunberg quando a Washington davanti al Congresso americano dice sull’emergenza climatica: “Non dovete ascoltare me ma quello che dicono esperti e scienziati. Unitevi dietro alla scienza!”. E poi contemporaneamente non dire nulla a chi va dietro agli sciamani per fermare la Xylella Fastidiosa che in Puglia ha messo in ginocchio l’economia della produzione dell’olio, o a chi parla di un digestore anaerobico per produrre biometano come se fosse una centrale nucleare, o a chi straparla di emissioni di esafluoruro di zolfo per ostacolare lo sviluppo dell’eolico nel nostro Paese. Non si può.

Per fare tutto questo sarà fondamentale prima di tutto intensificare il lavoro di affiancamento e cura della rete associativa, lavorando sui tre livelli organizzativi, smussando gli spigoli del triangolo e trasformandolo in un cerchio, facendo circolare sempre di più le idee e le energie che pervadono l’associazione da sud a nord, proseguendo insieme a Giorgio Zampetti il lavoro che ha già iniziato a fare nell’ultimo anno e mezzo.

Dovremo poi lavorare sull’allargamento della base associativa, partendo dai luoghi del conflitto ambientale e sociale e dalle aree in cui non siamo presenti (anche se non posso non ricordare con orgoglio che con i nostri 1.000 circoli e gruppi locali siamo nel 95% delle province italiane), con un imprescindibile corpo a corpo territoriale che dovrà vedere protagonisti i dirigenti nazionali in affiancamento a quelli regionali.

E poi dovremo proseguire con sempre più vigore il lavoro iniziato 2 anni fa (molto prima della nascita del movimento dei Fridays for future) sul coinvolgimento dei giovani nelle attività e nel lavoro dell’associazione che ci ha visto costruire con loro progetti sulla citizen science, progettare la nostra nuova campagna per fermare la crisi climatica Change Climate Change, organizzare il primo raduno nazionale dei nostri giovani attivisti nel giugno scorso a Roma, seguito da diversi raduni regionali, che ci porteranno al secondo raduno nazionale della prossima estate. Senza promuovere inutili e dannose guerre intergenerazionali dobbiamo però lasciare spazio e garantire protagonismo ai giovani, aprire loro porte e finestre della casa associativa, praticando l’inclusione e la tolleranza per il loro modo diverso, ma altrettanto importante, di fare volontariato e politica.

Legambiente continua ad essere una creatura davvero preziosa, e per certi versi unica, nel panorama associativo italiano, come ci ricorda spesso e giustamente Nunzio Cirino Groccia. Non ce lo diciamo da soli, leggete quello che hanno detto i nostri compagni di viaggio nelle interviste pubblicate nel bellissimo bilancio sociale che trovate in cartellina, frutto del lavoro di un gruppo ampio coordinato da Serena Carpentieri.

Come faceva Leonardo Da Vinci, genio straordinario nella storia dell’umanità che 500 anni fa disegnava automobili, elicotteri, sottomarini e calcolatori meccanici, dobbiamo continuare a vedere prima degli altri le cose che poi si concretizzeranno in seguito, anche grazie al nostro lavoro.

Fu così quando nel 1985 (un anno prima dell’incidente nucleare a Chernobyl) facemmo approvare da 500 Comuni italiani le delibere per deplastificare il proprio territorio.

Fu così quando nel 1989 (30 anni fa) invitammo Raul Gardini ad un nostro Convegno precongressuale perché interessati al programma di ricerca della Montedison sull’integrazione tra chimica e agricoltura, che porterà poi alla nascita della Novamont, gioiello mondiale della chimica verde made in Italy.

Fu così quando nel 1990 (due anni prima della Conferenza mondiale dell’Onu sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro) raccogliemmo 600mila firme sotto alla petizione “Fermiamo la febbre del Pianeta” per chiedere al governo italiano azioni concrete per ridurre l’uso delle fonti fossili e l’emissione di gas serra.

Fu così nel 1994, quando grazie al lavoro nazionale di Enrico Fontana e a quello dei nostri dirigenti territoriali pubblicammo il primo Rapporto sull’Ecomafia, rivelando al paese gli intrecci tra le attività delle mafie e il saccheggio dell’ambiente, a cominciare dal traffico illegale di rifiuti e dalla denuncia, nel Rapporto del 2003 scritta da Peppe Ruggiero, di quella “Terra dei fuochi”, tra le province di Napoli e Caserta, che ancora attende risposte efficaci e definitive da parte dello Stato.

È stato così anche per il marine litter, molti anni prima che questo problema diventasse patrimonio collettivo. Nel 2011 pubblicammo il primo rapporto sull’impatto della plastica nel Mar Mediterraneo, nel 2014 realizzammo il primo monitoraggio di Goletta Verde sulle plastiche in mare, esteso poi ai laghi del centro nord Italia e ad alcuni fiumi campani, nel 2015 con i nostri circoli iniziammo il censimento dei rifiuti sulle spiagge utilizzando lo stesso protocollo scientifico (un lavoro esteso a 350 spiagge del Mediterraneo con la campagna Clean up the Med e il coinvolgimento delle associazioni di altri paesi), esteso anche ai parchi pubblici nei comuni piccoli e grandi.

Noi continueremo ad essere l’associazione della citizen science (il contributo dei cittadini alla conoscenza dei problemi ambientali e alla loro risoluzione), quella che nella metà degli anni ‘80 monitorava le acque marine e lo smog prima ancora delle istituzioni e che da qualche anno fa la stessa cosa con i rifiuti abbandonati consapevolmente e colpevolmente nell’ambiente e che finiscono in mare e sulle spiagge.

Abbiamo integrato con questa nuova attività scientifica diffusa la nostra quarantennale esperienza di citizen science che autorevoli fonti istituzionali internazionali – dal Programma ambientale delle Nazioni Unite al Dipartimento di Stato degli USA, passando per l’Agenzia Europea dell’Ambiente – descrivono come la più importante a livello internazionale per durata e qualità dei dati. Esperienza che abbiamo avuto l’onore di raccontare al Palazzo di Vetro a New York durante la prima Conferenza mondiale dell’Onu sugli Oceani nel giugno 2017 con l’intervento in Assemblea generale. E sarà anche attraverso la citizen science, oltre alle attività di volontariato ambientale, che saremo in grado di coinvolgere sempre di più i giovani nel corpo associativo, rientrando nelle Università dove è iniziata la storia di Legambiente ai tempi della vertenza antinucleare di fine anni ‘70, come dimostrano i nuovi circoli Gemme dei giovani universitari di Roma e GreenTo che a breve si costituirà a Torino.

Con buona pace degli haters e dei trolls che imperversano sui social, noi continueremo ad essere con orgoglio quelli dell’ecologia umana, che a partire dai primi anni ‘90 hanno portato in Italia 25mila bambini bielorussi, russi ed ucraini, uno diverso dall’altro per dare una possibilità di cura a tutti, dopo la catastrofe nucleare di Chernobyl; quelli che sono intervenuti dopo terremoti e alluvioni per recuperare i beni culturali dopo aver contribuito a salvare vite umane, senza chiedere mai a nessuno il documento di identità o il passaporto; quelli che lo scorso settembre hanno organizzato le pulizie di Puliamo il mondo dai pregiudizi insieme alle 37 associazioni che si occupano di migranti, comunità straniere, detenuti, disabilità, salute mentale, discriminazione basata sull’orientamento sessuale; quelli che nell’ultimo anno e mezzo hanno indossato le magliette rosse insieme a Libera, Arci e Anpi e che con Goletta Verde hanno chiesto di aprire i porti alle Ong che con umanità, solidarietà e coraggio salvano vite in mare e che abbiamo premiato lo scorso agosto a Festambiente.

Noi continueremo a essere quelli che vogliono cambiare il mondo in cui viviamo, tessendo reti e costruendo alleanze, come ricorda spesso Edoardo Zanchini, per alcuni difficilmente comprensibili, come quella con le piccole e grandi aziende dell’agroalimentare italiano conosciuto in tutto il mondo per sviluppare sempre di più l’agroecologia circolare sul territorio, che usa meno plastica, meno fitofarmaci, meno acqua e meno energia, che non sfrutta i lavoratori, non usa allevamenti intensivi e punta sul benessere animale; come quella con i pescatori di Manfredonia (Fg) che dopo aver catturato accidentalmente le tartarughe Caretta Caretta nelle loro reti, le hanno portate ai veterinari del nostro Centro di recupero e ci hanno permesso di curare e restituire al mare quasi 1.600 esemplari in 12 anni; come quella con gli allevatori moderni che lavorano con noi per garantire la tutela dell’orso e del lupo e al tempo stesso la convivenza con l’uomo e le sue attività produttive; come quella con le imprese turistiche più innovative per ridurre l’usa e getta di plastica, promuovere i prodotti tipici del territorio, utilizzare sempre più le rinnovabili, salvaguardare aree sensibili come le dune costiere e abbattere le barriere architettoniche per garantire l’accessibilità a tutti; o come quella col mondo della filiera produttiva del legno per la gestione sostenibile dei boschi.

A questo paese serve ancora la nostra musica e noi dobbiamo esprimerci al meglio. Serve la stessa energia di Freddy Mercury durante lo storico concerto di Rio de Janeiro e la voce penetrante di Skin, la solista degli Skunk Anansie. Servono gli assoli implacabili di Eric Clapton e i ritmi incredibili di Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers. Servono le percussioni pazzesche di Stewart Copeland, il batterista dei Police, e l’audacia sfrontata dei Rolling Stones. Servono le luci e le scenografie dei concerti dei Pink Floyd e il palco a 360° degli U2. E noi tutto questo dobbiamo essere in grado di esprimerlo.

Il gruppo però lo dobbiamo far suonare non come fanno quegli artisti che nei loro concerti non amano l’interazione con il pubblico. Il nostro gruppo dovrà suonare come fecero i Beatles nel video di Hey Jude. Il video inizia col primo piano di Paul McCartney che parte con voce e pianoforte, entrano poi gli altri mitici 3 e il tutto finisce con l’interminabile coro finale cantato a squarciagola insieme a un centinaio di fan che si avvicinano a loro lentamente, fino ad ammassarsi praticamente sopra ai 4 ragazzi di Liverpool.

Ecco, i Fab Four di quel video sono l’esempio plastico da seguire per la nostra associazione, per il nostro ambientalismo scientifico, sempre più popolare, da perseguire con sempre più convinzione nei prossimi anni, con un ritornello travolgente noto oggi anche a chi nel 1980 non era neanche nato,

E allora, forza e coraggio cara Legambiente, accendi l’amplificatore, gira la manopola, alza il volume a palla, batti il tempo e parti senza esitazione e paura.

Lo sai fare bene, ma fallo sempre di più, perché il nostro Paese ha ancora un gran bisogno di noi!

Napoli, Museo Nazionale di Pietrarsa, 22 novembre 2019