Assemblea degli azionisti ENI, l’azienda nemica del clima

Oggi l’assemblea degli azionisti ENI. Legambiente: “Altro che svolta green, il piano di decarbonizzazione Eni punta su gas e confinamento geologico della CO2. Nel 2019 più che raddoppiata l’importazione di olio di palma e derivati arrivando a 700-800 mila tonnellate, nonostante la promessa di stoppare il suo uso dal 2023”

 Nel giorno in cui è in programma l’assemblea degli azionisti dell’Eni, Legambiente torna nuovamente a puntare il dito contro l’azienda controllata dallo Stato e nemica del clima. Il piano di decarbonizzazione al 2030 e al 2050 punta sostanzialmente su gas (che è un combustibile fossile) e confinamento geologico della CO2. Inoltre nell’ultimo anno – con l’entrata in funzione della bioraffineria di Gela – l’Eni ha più che raddoppiato l’importazione di olio di palma e derivati (PFAD e POME) passando dalle 280 mila tonnellate nel 2018 a 700-800 mila nel 2019, mentre lo stop all’uso di olio di palma nel diesel Eni avverrà dal 2023. Un dato, quest’ultimo, che emerge dalle risposte scritte che la stessa Eni ha inviato a Legambiente rispondendo ai quesiti posti dall’associazione. Nonostante le dichiarazioni dei giorni scorsi di Discalzi secondo il quale “l’azienda continua a perseguire con fermezza la strategia di lungo termine coniugando la sostenibilità economica con quella ambientale, per costruire una nuova Eni, in grado di crescere nella transizione energetica fornendo energia in maniera redditizia e, al contempo, ottenendo un’importante riduzione dell’impronta carbonica”, per Legambiente l’azienda è ben lontana dalla svolta green di cui parla.

“Non capiamo di quale piano di decarbonizzazione parli Eni – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. – Più che svolta ambientale, abbiamo l’impressione che questa azienda multinazionale continui a guardare al passato investendo soprattutto su idrocarburi. Anche dai dati diffusi a marzo dall’ Eni, noi più che svolta green abbiamo letto di aumento della produzione di petrolio fino al 2023, di un futuro al 2050 sostanzialmente a gas fossile e di confinamento geologico della CO2. Non abbiamo letto del processo per disastro ambientale in Val d’Agri in Basilicata partito da un nostro esposto, della perdita di petrolio per mesi nel pozzo a Ragusa, degli spiccioli destinati alle rinnovabili rispetto alle altre oil companies”.

Per quanto riguarda la vicenda del gasolio “all’olio di palma”, il cosìddetto ENIdiesel+, Legambiente ricorda che Eni ha speso milioni di euro in pubblicità per spiegare agli italiani che si trattava di “bio” diesel, un prodotto “green” che fa bene “all’ambiente e al motore”. Ma lo scorso gennaio è stata condannata dall’Antitrust al pagamento di una multa di 5 milioni di euro per pubblicità ingannevole, in seguito alla segnalazione di Legambiente, Movimento Difesa Cittadino e Transport&Environment. Interessante è il quadro che emerge poi dalle risposte scritte arrivate dalla stessa Eni alle domande presentate da Legambiente. Oltre alla crescita di importazione di olio di palma e derivati nel 2019, dalle risposte scritte emerge che il biodiesel, aggiunto in percentuale diversa in tutto il gasolio da autotrazione, deriva nella misura dell’80% da olio di palma e derivati “proveniente principalmente dal sud est asiatico”. Così Eni è responsabile di circa la metà delle importazioni nazionali di olio di palma.

Altro che “green”, l’olio di palma usato nei motori produce – tra deforestazione, coltivazione e combustione – tre volte più CO2 di quanto ne emette dal pozzo al motore un litro di gasolio petrolifero. È peggio del carbone. La deforestazione è inoltre causa di perdita di biodiversità e scatena contrasti sanguinosi tra compagnie e contadini indonesiani, e provoca uccisioni di militanti e giornalisti come accaduto recentemente.

Unica notizia positiva è la promessa, scritta nella risposta pubblica alle domande di Legambiente, che “Eni nell’ambito della sua strategia di decarbonizzazione, sta rivedendo in modo sostanziale la supply-chain allo scopo di azzerare l’utilizzo di olio di palma e PFAD entro il 2023”, ammettendo di aver investito milioni di euro in bioraffinerie puntando su materie prime sbagliate, come Legambiente sostiene da anni.

Per Legambiente lo stop all’olio di palma dal 2023 è una buona notizia e una prima vittoria, ma bisogna fare di più. Per questo l’associazione lancia un nuovo appello al Governo affinché venga abolito il sussidio di legge (italiana) che riconosce un valore all’olio di palma aggiunto nel diesel, pari a poco meno dell’1% del costo finale del gasolio alla pompa. Un balzello che serve per distruggere foreste e inquinare il pianeta senza che il consumatore ne sia informato. La richiesta indirizzata al governo e promossa da Legambiente è stata sottoscritta da 59.000 firme su www.change.org/unpienodipalle .