Emergenza incendi, Legambiente. “L’unico modo per fermare le fiamme è quello di non farle nascere”

Nella Penisola dal 2016 al 2018 bruciati 182.806 ettari di superficie boscata e non boscata. Accertate 13.219 infrazioni tra incendi dolosi, colposi e generici.

Legambiente: “Ad oggi poca prevenzione e controlli. Le Regioni mettano in campo più azioni, mirate ed efficaci di contrasto del fenomeno. I comuni realizzino il censimento delle aree percorse dal fuoco. Nei casi più gravi si applichi la legge sugli ecoreati, configurando il delitto di disastro ambientale”

Giorni difficili per l’Italia sul fronte incendi. Diversi roghi, molti a quanto pare di origine dolosa, sono scoppiati in diverse aree della Penisola, bruciando migliaia di ettari di bosco, mettendo in pericolo la biodiversità e la vita delle persone: dall’Aquila, che ha chiesto alla Presidenza del Consiglio di dichiarare lo stato di emergenza per il capoluogo abruzzese, a Palermo, passando per la Campania e la Puglia. Una situazione difficile e un’emergenza del tutto prevedibile, vista l’annuale opera da parte di ecomafie e incendiari, aggravata dal caldo torrido e dalla siccità, che poteva e doveva essere affrontata per tempo con efficaci attività di prevenzione, denuncia Legambiente per voce del suo Presidente Stefano Ciafani. Dal 2016 al 2018, ricorda l’associazione, secondo i dati del Rapporto Ecomafia, sono state accertate in Italia 13.219 infrazioni tra incendi dolosi, colposi e generici, con 1.280 denunce, 57 arresti e 355 sequestri. Durante lo stesso arco di tempo, dal 2016 al 2018, nella penisola sono bruciati 182.806 ettari di superficie, boscata e non.

“Ancora una volta – spiega Ciafani – l’Italia brucia per mano dell’uomo. I roghi scoppiati sono spesso di natura dolosa e criminale, appiccati per fini speculativi, compresi quelli di poco valore, come la ripartenza del pascolo, o per ripicche tra privati o verso la pubblica amministrazione. Bruciare le aree verdi e parte di quel patrimonio paesaggistico e boschivo di cui è custode la Penisola non porterà nessuna ricchezza, ma solo perdite e desolazione sotto il profilo ambientale, paesaggistico ed economico. Per sconfiggere gli incendi serve una sinergia e un impegno da parte di tutti i diversi soggetti, che hanno un ruolo a livello nazionale e territoriale nell’antincendio boschivo.  In primis servono da parte delle Regioni, che sono responsabili della prevenzione, più azioni e politiche mirate ed efficaci di prevenzione e contrasto del fenomeno, perché gli incendi si possono prevedere e possono essere evitati, più difficile è spegnerli. Quando si riesce, ormai sono andati persi ettari ed ettari di bosco, vegetazione e sono morti molti animali selvatici. Dal punto di vista degli strumenti normativi, può dare un importante contributo la legge 68/2015 che ha introdotto gli ecoreati nel codice penale. Infatti oltre al delitto di incendio doloso, nei casi più gravi, si può configurare per le conseguenze che hanno i grandi incendi boschivi il delitto di disastro ambientale, introdotto con la legge 68/2015 e che prevede fino a 15 anni di reclusione più le aggravanti”.

Legambiente ricorda che gli incendi boschivi causano danni che durano anche più di cento anni prima di ripristinare la condizione di ricchezza in biodiversità (una volta bruciato un bosco e perse le specie endemiche presenti, come in queste ore nel Gran Sasso per la ginestra aquilana), sempre che vengano attivati interventi per facilitare la ripresa degli habitat naturali. Inoltre ad oggi l’associazione ambientalista denuncia la mancata applicazione da parte dei Comuni della legge contro gli incendi boschivi e i ritardi, sempre da parte delle amministrazioni comunali, nel censire le aree percorse dal fuoco per far valere i vincoli a non rimboschire, pascolare, cacciare e urbanizzare quelle aree.

Per quanto riguarda la riforma Madia, che ha introdotto la competenza esclusiva dei Vigili del fuoco, per Legambiente è il momento di fare un bilancio di questa riforma molto controversa e dibattuta. Il modello di intervento dei VVFF, che hanno ricevuto poco personale e pochi mezzi aggiuntivi, non si è comunque adeguato alla diversa tipologia di rischio e di luoghi e la sua organizzazione, sempre affidabile in contesto urbanizzato, non è sostanzialmente cambiata per affrontare periodo, territori e contesti del tutto diversi. Magari definendo accordi organici con altre Istituzioni, per avere nuclei di prossimità di pronto intervento nelle aree a maggior rischio), oltre al fatto, che l’esperienza pluridecennale di attività dei DOS (direttore operazioni spegnimento) non si trasferisce per legge e non si ricostruisce in pochi anni.