L’Aquila: onoriamo le vittime mettendo in sicurezza il Paese

Sono passati 14 anni, molte cose sono accadute, tanto è stato fatto ma tanto ancora rimane da fare per completare la ricostruzione fisica, la rigenerazione economica oltre che aiutare la comunità a costruire il proprio futuro.

Rinnovare il ricordo del disastroso terremoto, avvenuto nella notte del 6 aprile 2009, che ha colpito L’Aquila e altri 56 comuni è un dovere per tutti gli italiani. Lo dobbiamo alle 309 persone che hanno perso la vita, ai 1600 feriti, alle decine di migliaia che hanno visto sconvolte le loro vite senza più una casa e un lavoro. E’ necessario ricordare ed onorare questo anniversario e, purtroppo, molti altri. Negli ultimi 20 anni il paese ha subito più eventi sismici che hanno provocato conseguenze drammatiche: il 20 maggio 2012 in Emilia-Romagna, il 21 agosto 2017 ad Ischia, le scosse del 24 agosto, 26 e 30 ottobre 2016 in quattro regioni del centro Italia. E non ci scordiamo il 31 ottobre del 2002 a San Giuliano, quando la scossa fece crollare la scuola elementare uccidendo 27 bambini e la loro maestra.

Accadimenti tragici che non dovrebbero mai farci dimenticare che l’Italia ha un territorio fragile, con un elevato rischio sismico e idrogeologico aggravato da una sempre maggiore frequenza di  eventi metereologici estremi. Una fragilità che si somma alla fragilità del nostro patrimonio edilizio pubblico e privato. Si stima, infatti, che siano 12 milioni gli edifici a rischio sismico e circa 94% dei comuni è a rischio idrogeologico. L’esposizione dei cittadini italiani ai vari rischi è quindi elevata e diffusa. Eppure, continua a prevalere la cultura dell’emergenza a scapito della prevenzione, nonostante riparare i danni costi più che prevenire. La prima grande opera pubblica, con un investimento pluriennale, è proprio la messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture strategiche e del costruito, dando priorità alle case e ai condomini più fragili spesso abitate da famiglie a basso reddito.  Non dobbiamo stancarci di chiedere una politica che costruisca un futuro più sicuro accompagnata da un piano pluriennale ed operativo che la concretizzi.

Non basta però.  Le calamità naturali continueranno ad esistere e bisogna farsi trovare preparati. Ad ogni evento disastroso abbiamo proceduto con decreti e ordinanze diverse, creando confusione, disparità di trattamento, ritardi, spreco di risorse pubbliche e soprattutto un surplus di disagi alle popolazioni. Ci mancano una Struttura, o Centri di Competenza, che sappiano sedimentare l’esperienza maturata nelle varie ricostruzioni, senza dover ogni volta ripartire da zero. E continua a mancare, nonostante all’indomani delle tragedie tutti lo invochino, un Codice della Ricostruzione per governare la ricostruzione con celerità ed efficacia subito dopo la fase di emergenza affidata alla Protezione Civile. Insomma, dotarci di procedure chiare per tutti i livelli istituzionali (chi fa cosa senza sovrapposizioni e rimpallo delle responsabilità); garantire pari diritti alle popolazioni interessate; avere linee guida per garantire la massima sicurezza possibile (sismica e idrogeologica) nella ricostruzione; minimizzare i disagi delle popolazioni garantendo alloggi dignitosi e una qualità della vita accettabile in attesa della ricostruzione definitiva; garantire fin da subito un rilancio economico dei territori colpiti.

Ci piace ricordare Sandro Pertini quando, in occasione del terremoto dell’Irpina, disse “Il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”



Maria Maranò

Maria Maranò

Fa parte della Segreteria nazionale di Legambiente con il ruolo di responsabile Ambiente Lavoro. Ha iniziato la sua militanza in Legambiente nel 1984 nel circolo di Taranto in cui ha ricoperto il ruolo di Presidente. Dal 2017 coordina l’Osservatorio per una ricostruzione di qualità promosso da Legambiente e Fillea Cgil all’indomani del sisma che ha colpito il centro Italia.


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