World Wildlife Day, il report di Legambiente sulla fauna selvatica in Italia

Dal ritorno in Appennino del grifone con 64 coppie nidificanti all’aumento delle berte nelle isole pontine per arrivare alla grande sfida della convivenza tra uomo e grandi predatori come orso e lupo. Sos nel Mediterraneo, tra le specie in pericolo palombo e razza mediterranea.

Nove le buone pratiche raccontate dall’associazione, esempi di tutela, collaborazione tra istituzioni e corretta convivenza: dalle squadre di primo soccorso per aiutare i delfini impigliati nelle reti alla winter school sulle Prealpi Giulie ai “guardiani” della Sila. 

“Italia acceleri il passo nella tutela della flora e fauna aggiornando norme e strategie, investendo risorse adeguate per frenare la perdita di biodiversità.  Mancano solo 7 anni per centrare gli obiettivi al 2030”.

Torna a crescere in Appennino la popolazione del Grifone, con ben 64 coppie nidificanti contate nel 2022, così come quella del lupo che raggiunge in tutta la Penisola quota 3.300 esemplari. Buone notizie arrivano anche dalle isole pontine dove si registra un successo riproduttivo delle berte nidificanti, berta maggiore e berta minore, anche se restano tra le specie in pericolo insieme all’uccello della tempesta. Preoccupa nel Mar Mediterraneo la situazione dei pesci cartilaginei. L’impatto maggiore delle attività umane sulle popolazioni di squali, razze e chimere deriva dalle catture accidentali durante le attività di pesca professionale. Tra le specie in pericolo critico, anche il Palombo Mustelus mustelus, la Manta mediterranea e il Palombo stellato. Desta preoccupazione, inoltre, la norma sulla fauna selvatica che favorisce nella Penisola la caccia libera nelle aree urbane e in quelle protette.

È quanto emerge, in sintesi, dal report “Natura Selvatica a rischio in Italiache Legambiente diffonde oggi alla vigilia del World Wildlife Day, dedicato alla “Partneship for Wildlife Conservation”, con un’analisi su alcune specie della Penisola incrociando storie di tutela di successo, studi e casi territoriali, e facendo il punto su sfide e difficoltà da affrontare. Perché se da un lato alcune specie a rischio estinzione o in pericolo, grazie a numerosi progetti di tutela avviati negli ultimi 30 anni, stanno ripopolando lentamente la Penisola, dall’altra parte non mancano le difficoltà. Tra queste la convivenza tra uomo e grandi predatori, come lupo e orso. Il triste epilogo dell’orso Juan Carrito ha posto nuovamente in primo piano il problema.

Di fronte a questo quadro, per Legambiente sono tre le parole chiave su cui l’Italia, il Paese che ospita una fauna tra le più ricche d’Europa, con il 10% di specie endemiche, deve lavorare puntando su: 1) una maggiore tutela centrando gli obiettivi 2030, a partire dall’aumento delle aree protette, dato che mancano solo 7 anni alla scadenza, 2) una migliore collaborazione tra le diverse istituzioni per garantire la conservazione di fauna e flora selvatiche, 3) una corretta convivenza tra uomo e animali anche attraverso un nuovo patto di collaborazione tra aree naturali protette e comunità locali. A tal riguardo nel report l’associazione ambientalista sintetizza anche un vademecum, composto da 20 regole-consigli, per rispettare gli animali selvatici. Infine, uno sguardo sul territorio, con il racconto di nove buone pratiche: si va, ad esempio, dalle squadre di primo soccorso nell’ambito del progetto Life DELFI per aiutare i delfini impigliati nelle reti, alla winter school sulle Prealpi Giulie dell’Università di Udine alle azioni di prevenzione realizzate su alcune strade di Umbria e Abruzzo, per limitare il rischio di attraversamenti della fauna e possibili incidenti per arrivare in Sila, dove grazie al progetto Wolfnet, i Cani da pastore maremmano abruzzese sono stati utilizzati per sorvegliare il bestiame e “salvare” il lupo.

“La crisi climatica – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – sta contribuendo alla perdita di biodiversità e alcuni fattori indotti dal cambiamento climatico, come ad esempio la riduzione e la disponibilità di acqua o l’aumento della siccità e il rischio incendi, influiscono sempre di più sulla vita di animali e piante. L’Italia che, che in questi anni ha raggiunto diversi risultati positivi, deve ora accelerare il passo aggiornando, attraverso un percorso di partecipazione e condivisione tra le istituzioni, il sistema della ricerca e i vari portatori di interesse, le strategie e le norme per tutelare meglio le specie a rischio e ridurre i conflitti che si possono creare nella convivenza tra l’uomo e le specie selvatiche. Tale percorso deve essere anche finanziato di più e maggiormente integrato con le altre politiche nazionali e comunitarie per raggiungere gli obiettivi 2030, a partire dalla creazione di più aree protette e zone di tutela integrale, adottando soluzioni naturali contro la crisi climatica e gestire in maniera integrale il territorio protetto”.

Grifone eurasiatico: Rapace in pericolo critico, dal 1994 è stato al centro di un lungo progetto di reintroduzione in Appennino Centrale nell’area del Parco Naturale Regionale Sirente Velino. La popolazione è passata da 34 coppie nidificanti nel 2014 a 64 coppie nel 2022. Dal Velino i grifoni si sono poi stabiliti in altre colonie sui monti circostanti, dal Gran Sasso d’Italia ai Monti Simbruini. Altri invece compiono spostamenti regolari tra il Massiccio del Pollino e i massicci Abruzzesi, fino al Matese e al massiccio dei Sibillini. Il grifone è stato reintrodotto con successo anche in Friuli, Sicilia e Calabria, e ciò dimostra che gli interventi di restocking e le reintroduzioni costituiscono spesso efficaci strumenti di conservazione per prevenire l’estinzione o favorire il ritorno della fauna selvatica. Analogo discorso vale, dopo decenni di declino, anche per le popolazioni di avvoltoio europeo (gipeto, e capovaccaio).

Berta Maggiore e Berta Minore. Grazie al progetto Life PonDerat, co-finanziato dall’Unione Europea, che ha implementato un programma di eradicazione del ratto nero (unna delle specie più diffuse e pericolose per la biodiversità ed è inserita nell’elenco delle 100 specie invasive più dannose al mondo) nelle isole di Ventotene, Santo Stefano e Palmarola tornano a involarsi i pulcini di berta. In particolare il successo riproduttivo delle berte è passato dal 10% (solo una coppia su dieci riusciva a portare il pulcino all’involo) al 90%. Aumentata anche l’abbondanza di piante e invertebrati grazie all’azioni messe in campo.

Lupo, orso bruno marsicano e convivenza con l’uomo: Ad oggi si stima in tutta Penisola una presenza di circa 3.300 lupi di cui 950 esemplari concentrati nelle regioni alpine e quasi 2.400 distribuiti lungo il resto della Penisola. Nel 2022, in assenza di un dato ufficiale per la mancanza di una banca dati aggiornata, Legambiente ha realizzato un monitoraggio effettuato online dal quale risulta che, sono morti 111 lupi, di questi 68 per investimento, 14 per bracconaggio, 7 per morte naturale e 22 per morte incerta. Per quanto riguarda l’orso bruno marsicano, sottospecie che si trova esclusivamente in Appennino centrale, si stima una popolazione di oltre 60 esemplari in Appennino Centrale. Le cause di mortalità di questo esemplare sono essenzialmente: bracconaggio, investimenti stradali e ferroviari, avvelenamento, infezioni trasmesse dal bestiame. Riguardo al contenimento del conflitto tra attività di allevamento e grandi predatori, oggi sono diversi gli strumenti suggeriti e adottati rivolti agli allevatori: i cani da guardia, le recinzioni fisse ed elettrificate, la presenza continua del pastore, i dissuasori acustici e ottici, i procedimenti per i risarcimenti economici gestiti online o esperimenti come il gregge del parco che permette di avere subito disponibile la pecora predata riducendo le perdite aziendali.

Gestione e abbattimenti fauna selvatica. Il grave errore dell’Italia. Legambiente critica la norma approvata dal Governo Meloni in finanziaria e che apre la possibilità di abbattimenti di fauna selvatica per motivi di sicurezza stradale anche nelle aree protette e nelle città. Una scelta dannosa che aggrava i problemi anziché risolverli, ignorando del tutto le buone regole della gestione faunistica suggerite dalla scienza, e in contrasto con la Direttiva Habitat e con gli orientamenti emersi dalla recente COP15. Per Legambiente la gestione della fauna, alla luce anche della crisi climatica, richiede un approccio basato su conoscenza, monitoraggio delle attività e interventi integrati.

“Rafforzare la tutela di specie a rischio e ridurre i tanti conflitti sociali aperti che rischiano di implodere – spiega Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente – è nell’interesse di tutti. In primis delle aree protette, che sono gli enti più esposti e più sollecitati sulle problematiche gestionali della fauna selvatica, poiché si riconosce al loro impegno i successi ottenuti nella tutela delle specie a rischio salvate nel nostro Paese. Le problematiche di gestione di specie emblematiche come il lupo o l’orso bruno ci dimostrano che per difendere la biodiversità ci vuole il supporto della scienza e una grande capacità nella gestione della complessità territoriale e istituzionale, ma anche un nuovo patto di collaborazione tra parchi e comunità locali, da cui è indispensabile ripartire con obiettivi chiari e condivisi. Per questa ragione consideriamo un grave errore la norma che affida ai cacciatori il contenimento della fauna selvatica nelle città e nelle aree protette approvata nella legge di stabilità. Deve essere, invece, la scienza e la conoscenza delle specie a indicare la soluzione ai problemi di convivenza che in molti casi sono bene evidenti, e non affidarsi agli estremisti venatori che vogliono trasformare le città ed i parchi in luoghi della mattanza per la fauna”.

Nove buone pratiche: Oltre alle buone pratiche citate all’inizio, c’è anche il master dedicato alla medicina veterinaria nel Parco Nazionale della Majella, il centro di recupero delle tartarughe marine di Manfredonia, l’hub, in via di definizione, per la fauna selvatica nel Delta Po. Infine, tra le buone pratiche citate, anche lo stop al volo dei droni nelle aree protette per tutelare l’avifauna, lo ha stabilito un provvedimento dell’ENAV su richiesta della Regione Lazio che istituisce in circa 100 aree naturalistiche, dal 26 gennaio 2023 al 28 dicembre 2023, il divieto di atterraggio, decollo e sorvolo di aeromobili e di apparecchi a motore per il volo da diporto o sportivo, droni compresi.