Processo climatico contro Eni avviato da Greenpeace Italia, ReCommon e un gruppo di dodici cittadini. Legambiente risponde ad ENI che nella sua memoria difensiva cita il dossier Scacco Macco alle Rinnovabili del Cigno Verde.
“Per quanto sia veritiero che il nostro Paese presenti indiscutibili problemi autorizzativi e ostacoli burocratici che frenino lo sviluppo delle rinnovabili, riteniamo che ciò non possa giustificare il ritardo di un’azienda multinazionale energetica a prevalente capitale pubblico come ENI nel percorso di transizione ecologica. ENI spieghi perché preferisce puntare su gas fossile e confinamento geologico della CO2”.
È il paese dei paradossi. Nel processo climatico avviato da Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani contro ENI, l’azienda partecipata dello Stato nella sua memoria difensiva ha citato il dossier Scacco Macco alle Rinnovabili di Legambiente, in cui si parla dei tanti ostacoli e delle lentezze che frenano lo sviluppo delle rinnovabili, per giustificare l’impossibilità di poter procedere nella direzione di una transizione energetica.
Ad ENI, Legambiente risponde dicendo che seppur sia veritiero che l’Italia presenti indiscutibili problemi autorizzativi, lentezze burocratiche e norme frastagliate, ciò non può giustificare il suo ritardo nel percorrere la strada delle rinnovabili e della transizione ecologica. È evidente che ENI preferisce investire di gran lunga sulle fonti fossili come raccontano i dati del suo stesso piano strategico 2023-2026. Numeri che testimoniamo la lentezza di ENI nel cambiare strategia energetica, mentre persegue la strada del gas fossile e del confinamento geologico della CO2. Per quanto riguarda il processo climatico in corso, per Legambiente il maxi risarcimento chiesto a Greenpeace e Recommon è un evidente forma di intimidazione. Per questo l’associazione ambientalista confida nel processo in corso, ricordando che ENI è stata denunciata e citata in tribunale per i danni cagionati e futuri derivanti dai cambiamenti climatici, a cui ha contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, continuando a investire nei combustibili fossili.
Nel Piano Strategico 2023-2026 si legge, infatti, che la quota di produzione del gas salirà al 60% entro il 2030 per poi stabilizzarsi. Quindi mettendo al centro il gas fossile e i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 per arrivare all’obiettivo delle emissioni zero netto entro il 2050, ovvero con tecnologie alquanto discutibili e non comprovate da nessuna certezza tecnico-scientifica, oltre ad avere costi decisamente elevati, ponendosi l’obiettivo di catturare fino a 50 milioni di tonnellate anno di CO2 al 2050. Non solo, ma la stessa ENI prevede una crescita del GNL contrattualizzato a oltre 18 MTPA (milioni di tonnellate all’anno) entro il 2026, il doppio rispetto al 2022, con importanti incrementi di profitto per le proprie attività GGP (Green Public Procurement). Confermando, inoltre, come il gas giocherà un ruolo rilevante almeno fino al 2030.
Tra gli obiettivi dichiarati anche quello dello sviluppo di nuove risorse di gas, tra il 2023 e il 2026, di almeno 2,2 miliardi di barili equivalenti di petrolio, di cui il 60% di gas. Al 2050, secondo la stessa strategia dichiarata dall’azienda, si prevede che nell’upstream la componente gas avrà un ruolo superiore al 90%.
Dall’altro canto i numeri sulle rinnovabili sono davvero esigui. Basti pensare che dal 2005 ad oggi Eni ha realizzato appena 88 impianti a fonti rinnovabili, per una potenza complessiva di soli 323 MW. Appena 82 MW dal 2020 ad oggi. Parliamo di 1 impianto a biomassa da 0,999 MW a Eboli, 21 impianti eolici per 274 MW, 10 dei quali con potenza inferiore ai 10 MW, 42 impianti fotovoltaici per 45 MW complessivi di cui solo 2 con potenza superiore al MW e 24 impianti minieolico per una potenza complessiva di appena 2,8 MW. Ai quali si aggiungono, secondo i dati della stessa ENI, i 100 impianti a fonti rinnovabili per appena 800 MW di Plenitude. Numeri esigui per una delle più grandi imprese energetiche del Paese, e che lavora in ben 68 Paesi in tutto il Mondo.
Non solo, ma andando a vedere tra gli attuali processi di VIA PNRR e PNIEC sono solo 3 i progetti, oggi in fase di Istruttoria tecnica CTPNRR-PNIEC avviati tra il 2022 e il 2023. Parliamo del progetto di impianto solare fotovoltaico di potenza pari a 50,6 MWp e relative opere connesse, presso le aree denominate “Aree Sud” dell’area industriale del Comune di Porto Torres e nel Comune di Sassari (SS). Del progetto di un impianto fotovoltaico denominato “Brindisi Aree Esterne”, di potenza pari a 24,55 MW e delle relative opere di connessione alla RTN da realizzarsi nel comune di Brindisi. E dell’impianto eolico “Fragagnano”, composto da 18 aerogeneratori da 6 MW ciascuno, per una potenza complessiva pari a 108 MW, con annesso sistema di accumulo della potenza di 30 MW, da realizzarsi nei comuni di Fragagnano (TA), Sava (TA), Lizzano (TA), Torricella (TA) e Taranto (TA). Il tutto per appena 183 MW di potenza complessiva.
Numeri che si accompagnano all’impianto eolico offshore galleggiante “7 Seas Med” da 250 MW nel Canale di Sicilia, un impianto da 250 MW e che verrà realizzato da Copenhagen Infrastructure Partners e GreenIT, joint venture tra Plenitude e Cdp Equity e su cui la soprintendenza speciale per il PNRR ha espresso parere positivo sul progetto. A questo si aggiunge l’impianto eolico onshore a Porto Torres da 34 MW che ha ricevuto decreto di VIA nel 2023, ma che si affiancano a tre progetti di coltivazione idrocarburi; pozzo Agosta 1 Dir in Emilia Romagna, le proroghe dei pozzi Argo e Cassiopea e quelli esplorativi Centauro, Arancio 1 Dir e Gemini in Sicilia.
Maxi-Multa e Greenwashing: Legambiente ricorda che nel 2020 è arrivata la prima sentenza storica contro il greenwashing. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha disposto una multa di 5 milioni di euro nei confronti di Eni, il colosso energetico italiano a prevalente capitale pubblico, per “pratica commerciale ingannevole” in merito alla pubblicità “ENIdiesel+”, che ha inondato giornali, televisione, radio, cinema, web e stazioni di servizio dal 2016 al 2019. La decisione riguarda il messaggio, dichiarato ingannevole, di un diesel bio, green e rinnovabile, che «riduce le emissioni gassose fino al 40%». La sentenza è arrivata a seguito di un reclamo presentato da Legambiente, dal Movimento Difesa del Cittadino e da Transport & Environment (T&E) per pratica commerciale scorretta in violazione del Codice del Consumo. La vicenda è stata denunciata la prima volta in articolo pubblicato a gennaio dalla rivista “La Nuova Ecologia”, la storica testata di Legambiente.