In tutto il mondo la corsa all’oro nero, ma anche al carbone e al gas naturale, continua senza sosta a discapito dell’ambiente. Dalle coste dell’Algarve in Portogallo e quelle dell’Alaska nel circolo polare artico, dal Golfo del Messico e dal Venezuela alle acque di fronte alle coste africane del Ghana, dell’Angola, della Repubblica Democratica del Congo, del Mozambico. Perforazioni e nuovi progetti interessano anche l’Italia e il Mediterraneo, dall’Adriatico e allo Jonio, dalla Basilicata alla Sicilia, ma anche Paesi del Nord Africa e Medio Oriente, come Egitto, Libia, Libano, Cipro, solo per citarne alcuni. Un quadro preoccupante che Legambiente torna a denunciare oggi in occasione della giornata di mobilitazione internazionale contro le fonti fossili, che ha promosso insieme a CAN Europe, Coordinating Committee for International Voluntary Service, Green Istria, Green Home Montenegro, ODI, Plataforma Algarve Livre De Petróleo, Alliance of European Voluntary Service Organisations, Worldwide Friends Iceland, per dire NO a queste fonti inquinanti, tra le principali cause dei cambiamenti climatici e per ricordare che non si può pensare di contrastare i mutamenti climatici e rispettare gli accordi internazionali sul Clima firmati a Parigi, continuando a sostenere e foraggiare l’industria delle fonti fossili. Un settore che nel 2017, stando agli ultimi dati diffusi dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea), ha visto salire gli investimenti per la prima volta dal 2014, a 790 miliardi di dollari, contro i 318 miliardi per le rinnovabili.
E in questa giornata di mobilitazione internazionale l’associazione ambientalista punta il dito contro Eni, la più grande azienda italiana quotata in borsa e controllata dallo Stato Italiano, attiva in ben 71 Paesi di tutto il Mondo, (28 in Europa, 15 in Africa, 21 in Asia e Oceania, 7 in America) dove continua a trivellare per estrarre petrolio e gas impiegando complessivamente 35mila lavoratori. In particolare in Italia lo fa in Val d’Agri, in Basilicata, nel più grande giacimento petrolifero a terra di tutta Europa, con non pochi problemi ambientali, nei mari che circondano il Belpaese (Adriatico e Ionio), da sola o in partnership con altre aziende, come nel caso della piattaforma Vega con Edison nel canale di Sicilia, di cui è stato presentato il progetto di raddoppio bocciato dalla commissione VIA del ministero dell’ambiente, anche grazie alle osservazioni di Legambiente, ma mai ufficialmente ritirato.
Nel 2017 la produzione complessiva è stata pari a 1.816 barili/giorno (+3,2% rispetto al 2016), la più alta mai registrata dalla compagnia, e per il 2018 è prevista un’ulteriore crescita del 4%. Solo nell’ultimo anno il portafoglio esplorativo è aumentato di oltre 97.000 kmq di nuove superfici, distribuite tra Kazakistan, Oman, Cipro, Costa d’Avorio, Marocco e Messico. Gli investimenti complessivi sono stati pari a 442 milioni di euro, di cui 83 milioni di euro in Ricerca & Sviluppo per il settore Esplorazione & Produzione, in aumento rispetto ai 62 del 2016. Numeri e dati che Legambiente ha raccolto nel report “Enemy of the planet: Perché Eni ci riguarda e rischia di diventare sempre più nemico del pianeta”, diffuso oggi in occasione della mobilitazione internazionale contro le fonti fossili e del flash mob organizzato a Polignano a Mare in occasione della tappa di Goletta Verde in Puglia ricordano anche come si stia facendo poco sul fronte delle rinnovabili. Il più grande gruppo industriale e energetico italiano ha fino ad oggi installato nella Penisola solo 1 MW di solare fotovoltaico, ossia meno di quanto hanno fatto sui loro tetti i cittadini di oltre 2mila comuni o di quanto è stato installato da diverse amministrazioni comunali sui tetti degli edifici scolastici/pubblici come ad esempio a Bologna con 18,4 MW.
Se da una parte la multinazionale sta facendo importanti investimenti per aumentare l’estrazione di idrocarburi dal sottosuolo, sono pochi quelli riguardanti lo sviluppo delle rinnovabili in tutti i Paesi in cui opera con l’obiettivo di affiancare il consumo di petrolio e gas degli asset produttivi con energia solare e eolica. Ad oggi, su 71 Paesi sono 15 quelli in cui Eni ha iniziato o concluso la realizzazione di progetti da fonti rinnovabili, realizzando solo il 10% del piano quadriennale. In Italia, invece, sono 14 i progetti previsti entro il 2022 e distribuiti in 12 Regioni, per una capacità complessiva di circa 220 MW di solare. L’unico impianto fotovoltaico entrato in esercizio è ad oggi quello a inseguimento solare di Ferrera Erbognone (Pavia), presso il Green Data Center di ENI 2.968 moduli per 1 MW di potenza complessiva.
“Oggi ENI appare tutta proiettata verso un futuro di espansione delle estrazioni di petrolio e gas, con molti annunci e poche azioni concrete di investimento nelle fonti pulite – dichiara Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente – Noi pensiamo che questa strada sia sbagliata e chiediamo al Governo italiano di essere coerente con gli impegni sottoscritti a livello internazionale, indirizzando le scelte di Eni. Di sicuro continuare con una Eni nemica del Pianeta è uno scenario inaccettabile e ci batteremo insieme a associazioni, movimenti e cittadini per impedirlo. Per questo lanciamo anche un appello al ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio affinché, dopo l’importante spinta data per un ambizioso pacchetto europeo su energia e clima, vengano bloccati i progetti di estrazione di petrolio e gas e cancellati tutti i sussidi ancora oggi garantiti alle fonti fossili. Chiediamo, inoltre, che vengano accelerati gli interventi essenziali per arrivare a una rottamazione delle fonti energetiche inquinanti, a partire dal petrolio, con misure concrete nella prossima legge di bilancio, per segnare una vera discontinuità con i governi precedenti, sempre pronti a soddisfare ogni proposta delle arroganti compagnie petrolifere”.
Legambiente ricorda che nei prossimi anni l’Italia, l’Europa e il Mondo dovranno ridurre i consumi di petrolio e gas. Con l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul Clima è stato fissato un chiaro impegno internazionale per contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli pre-industriali, e quella dell’uscita dalle fossili è una condizione non più negoziabile. Questa prospettiva è quanto mai urgente da percorrere, perché già sono evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in tante aree del Pianeta, ma soprattutto desiderabile perché un modello energetico incentrato su efficienza e rinnovabili è l’unico in grado di favorire uno sviluppo davvero distribuito e democratico. Per questo nelle scorse settimane Legambiente ha anche lanciato la petizione su change.org “No Oil” stop alle fonti fossili e ha ribadito l’importanza da un cambio di rotta della politica nazionale per avviare anche in Italia il processo di decarbonizzazione puntando sempre di più sulle energie rinnovabili.
“Nei prossimi mesi – continua Ciafani – l’Italia dovrà, come tutti gli altri Paesi europei, presentare un piano nazionale coerente con gli obiettivi sul clima e l’energia europei al 2030. In questo scenario si dovranno ridurre sensibilmente i consumi di gas nel settore elettrico e civile, attraverso una generazione sempre più distribuita e rinnovabile, e quelli di petrolio nei trasporti. Il problema oramai evidente è che questa traiettoria rischia di trovare davanti a sé un macigno proprio nel più grande gruppo industriale italiano, oltretutto controllato dallo Stato”.
Intanto sale la protesta internazionale da parte dei territori e delle associazioni ambientaliste contro i progetti fossili di Eni che causano danni all’ambiente. Ad esempio in Nigeria la comunità di Ikebiri ha portato la società in tribunale chiedendo un risarcimento per disastro ambientale a causa dello sversamento di petrolio da un oleodotto e che ha contaminato una vasta area. In Ecuador a protestare sono state le comunità indigine della Foresta amazzonica che avrebbero avuto diritto alla consultazione e al consenso, come stabilito dalla costituzione ecuadoriana. O ancora in Portogallo, dove Eni è parte di un consorzio che vuole estrarre petrolio davanti alla meravigliosa costa dell’Algarve. In Italia, in questi anni sono diverse da una parte le proteste partite dai territori della Basilicata e della Sicilia dall’altra parte le inchieste per inquinamento dei suoli e della falda.